Fonte: Rivista "Uva da tavola"
articolo a cura di Michele Melillo
Il consulente agronomo Michele Melillo (Graper) illustra le strategie per un corretto utilizzo dei fitoregolatori in viticoltura da tavola
Durante la fase di accrescimento gli acini aumentano notevolmente di peso e di volume mediante processi di divisione e distensione cellulare. Questa fase, è regolata dall'azione di alcuni ormoni vegetali endogeni definiti comunemente PGR (in inglese Plant Growth Regulators), ovvero sostanze chimiche a bassa concentrazione che regolano i processi di crescita e sviluppo nella pianta. Allo stesso tempo i processi di accrescimento dipendono dall'attività fotosintetica della pianta che dovrà essere in perfetto equilibrio vegeto-produttivo per far sì che i PGRs svolgano la loro azione al meglio.
L'impiego dei fitoregolatori di sintesi nel settore dell'uva da tavola italiano è una pratica ormai consolidata, ma tutt'oggi esistono ancora molti margini per migliorare l'efficienza del loro utilizzo. In altre aree di produzione come California, Australia, Sudafrica, Cile e Perù dove, a differenza del nostro Paese, vengono coltivate quasi esclusivamente varietà senza semi che richiedono diversi interventi con fitoregolatori, la conoscenza dei meccanismi di utilizzo di queste sostanze è più ampia fra gli agricoltori.
Il dott. Michele Melillo di Graper, che offre servizi di consulenza in viticoltura, ha illustrato ed approfondito alcuni aspetti riguardanti le modalità di corretto utilizzo dei fitoregolatori in viticoltura da tavola.
L'importanza dell'estetica del grappolo
La qualità estetica di un oggetto, qualunque esso sia, influisce notevolmente sulla decisione d'acquisto del consumatore. Questo vale, ovviamente, anche per l'uva da tavola, il cui concetto di estetica può essere però inteso in differenti modi. Comunemente si associa la bellezza di un uva alla grandezza dei suoi acini, o perlomeno questa è la prima associazione mentale che tutti fanno, in particolare gli agricoltori. In realtà la questione è più complessa, in quanto l'uva è un frutto particolare, ovvero un infruttescenza (o grappolo) composto da più acini. Quello che attira il consumatore non è tanto la dimensione delle bacche, parametro che impressiona solo in un primo momento, quanto l'uniformità di colorazione, di pezzatura e di distribuzione degli acini sul grappolo. Tali aspetti influiscono maggiormente sul giudizio finale di chi acquista. La pezzatura attira, ma da sola non basta.
Commercialmente sarebbe più logico per un produttore ottenere una linea di prodotto con acini di dimensione media ma il più uniforme possibile. Ad esempio, una Superior seedless con calibro tra i 18 e 22 millimetri, con colore e pezzatura uniforme, risulta essere migliore di una con calibro massimo di 25 millimetri ma con disformità di colorazione tra la parte superiore e inferiore o tra le due facce del grappolo e presenza di bacche di 18-20mm.
L'uniformità, quindi, gioca un ruolo fondamentale nell'estetica del frutto. Non bisogna dimenticare che l'uva non va guardata sulle piante, ma nella confezione, dove la percezione di bellezza diventa molto più alta nel momento in cui si riesce ad ottenere un imballaggio con un prodotto omogeneo.
Questo comporta anche delle decisioni importanti dal punto di vista produttivo: quanto più si riuscirà a rendere uniforme un prodotto in un vigneto, tanto meno costerà all'esportatore raccoglierlo e commercializzarlo. Ci saranno meno passaggi nella raccolta e l'operaio impiegherà meno tempo per confezionare.
Tra l'altro, i supermercati che richiedono acini di grosse dimensioni sono relativamente pochi, mentre la maggior parte esige nei loro capitolati soprattutto uniformità di prodotto. Inoltre, è anche importante sottolineare che se la pezzatura dell'acino può avere un suo valore, un grappolo di grosse dimensioni (comunemente definito dagli agricoltori "grappolone", n.d.r.), ha molto minor senso dal punto di vista commerciale.
Ovviamente un grappolo non potrà essere di 300 grammi, ma se raggiungerà un peso di 1,5-2 chilogrammi, questo diventerà un grosso problema, soprattutto nel momento in cui la tendenza del consumatore è quella di scegliere prodotti più facilmente consumabili quotidianamente, per famiglie ristrette o per single.
Il packaging va sempre più orientandosi verso monoconfezioni da 500 grammi o un chilo, quindi è molto più semplice per la GDO vendere questa tipologia di prodotto.
L'elevata dimensione del grappolo era una esigenza dei mercati di decenni fa. Ora la tendenza è di avere grappoli con un peso medio tra 800 grammi e 1,2 chilogrammi.
I fitoregolatori utilizzati in viticoltura per l'allungamento del rachide e l'ingrossamento dell'acino
A questa categoria appartengono solo le sostanze ormonosimili, quindi acido gibberellico (GA3), citochinine (CPPU) e auxine. Tutti i restanti prodotti disponibili in commercio che dichiarano di avere più o meno un'influenza sull'ingrossamento dell'acino o sull'allungamento del rachide non hanno un effetto significativo, e in letteratura scientifica non si trovano dati significativi a riguardo. Generalmente, fungono solo da coadiuvanti per il risultato finale. Discorso diverso per le alghe, che hanno invece un effetto reale legato ad una concentrazione di fitoregolatori di origine naturale.
Differenze tra gibberelline e citochinine
A parte le auxine, il cui uso su uva da tavola è pressoché pari a zero, l'utilizzo maggiore dei fitoregolatori in viticoltura è legato alle gibberelline ad alle citochinine, ormoni che influiscono entrambi sulla divisione e l'allargamento cellulare.
Nel caso specifico le gibberelline agiscono in un modo più accentuato sull'allargamento, mentre le citochinine hanno un effetto più marcato sulla divisione cellulare.
Per quanto riguarda l'effetto sull'acino, le citochinine fanno assumere all'acino una forma più rotonda, mentre le gibberelline tendono ad allungare l'acino. Questi sono due effetti di cui bisogna tener conto nel momento in cui si decide il programma di ingrossamento.
Altra differenza fondamentale riguarda l'effetto variabile a seconda della fase fenologica in cui si applicano. Le gibberelline in fioritura per quasi tutte le uve senza semi hanno un'azione diradante per l'ottenimento di un grappolo più spargolo, mentre le citochinine su tutte le varietà hanno un effetto allegante. Pertanto bisogna sempre stare attenti al momento di applicazione delle citochinine, ovvero vanno apportate solo quando la colatura e l'allegagione sono avvenute completamente. Entrambi i fitoregolatori, quindi, se applicati in fase di ingrossamento dell'acino determinano l'aumento del diametro della bacca, mentre se applicati in fase di germogliamento e distensione del grappolo, hanno un effetto sull'allungamento del rachide.
Il CPPULa citochinina di sintesi più utilizzata è il forchlorfenuron comunemente chiamato CPPU (N-(2-chloro-4-pyridyl)-N'- phenylurea), un fitormone che agisce stimolando la distensione e soprattutto la divisione cellulare. Se applicato immediatamente prima della fioritura favorisce una maggiore allegagione mentre, applicato in post-allegagione, determina un incremento significativo del diametro polare ed equatoriale con conseguente aumento del peso medio dell'acino e quindi del grappolo.Il CPPU permette di ottenere buccia più consistente, rachide e peduncoli più spessi, maggiore resistenza al distacco e migliore conservabilità sulla pianta e in post-raccolta. La sua applicazione, in fase di accrescimento dell'acino, non interferisce sulla fertilità delle gemme però, se applicato in dosi eccessive, può indurre ritardi nella maturazione e nella colorazione del grappolo con acini che risultano essere anche più consistenti e meno succosi. Sitofex è il solo prodotto con CPPU registrato in Italia. |
Interferenza dei fitoregolatori sulle funzioni vitali della pianta
I fitoregolatori nelle piante non svolgono solo un ruolo sull'accrescimento cellulare, ma anche una serie di funzioni che regolano le attività della pianta. Bisogna sottolineare, ed è noto anche a tutti gli agricoltori, che l'uso di gibberelline influenza la fertilità delle gemme dell'anno successivo. Il grado di influenza varia a seconda della fase in cui vengono applicate.
Le piante di vite sono molto sensibili alle gibberelline nel periodo che va dalla distensione del grappolo fino a fine fioritura e, a seconda della sensibilità varietale, piccole concentrazioni potrebbero alterare tali processi.
Nel periodo che intercorre tra la fase di pre-fioritura e quella di accrescimento dei frutti, le gemme ascellari dei tralci iniziano il processo di differenziazione ed è proprio in questa fase che la pianta "decide" se differenziare una gemma per tralcio o per grappolo. Si tratta quindi di un lungo periodo, che va da inizio maggio a fine luglio, in cui ci possono essere diversi fattori in grado di influire sul futuro delle gemme.
Tra questi ci sono la luce, la temperatura (che più di tutti influenza la fertilità dell'anno successivo), gli stress di varia natura e l'uso di gibberelline, in particolare se usate per l'allungamento del rachide. Applicate in fioritura, invece, le gibberelline potrebbero avere un'influenza negativa a causa della loro elevata azione pollinicida, in particolare su uve con semi.
Ovviamente ci sono diverse sensibilità al fitoregolatore a seconda della varietà: la Thompson seedless è una varietà che riesce ad assimilare una concentrazione elevata di gibberelline senza avere alcuna ripercussione se non l'anno successivo, mentre altre varietà come Crimson o Superior seedless sono più sensibili.
Per quanto riguarda le citochinine, invece, non è mai stato riscontrata nessuna influenza sulla fertilità delle piante.
Influenza dei fitoregolatori su colorazione e maturazione
L'influenza dei fitoregolatori sull'accrescimento dell'acino è regolato da un effetto dose, ossia maggiore sarà la dose applicata alla pianta, maggiore sarà l'effetto sull'accrescimento. Ovviamente esiste un limite, oltre il quale ulteriori applicazioni dell'ormone determinano un accrescimento minimo o nullo.
Parallelamente, i fiteregolatori, come detto, regolano tutta la vita della pianta e hanno anche un'influenza su altre fasi fenologiche, tra cui la maturazione. Dosi man mano crescenti di fitoregolatori, che siano gibberelline o citochinine, ritardano in maniera progressiva la colorazione e l'accumulo di zuccheri. Ovviamente anche tale aspetto va messo in relazione con tutta una serie di fattori, quali il carico della pianta, il vigore, lo stato nutritivo, le condizioni climatiche, ecc., che potrebbero influenzare i programmi di raccolta del prodotto. Ad esempio, se l'uva è coltivata in una zona precoce ed il programma di raccolta è fissato per la prima metà di luglio, con applicazioni di 10 grammi di acido gibberellico, la maturazione (e quindi la raccolta) potrebbe essere posticipata a fine luglio-inizio agosto.
L'agricoltore, però, ha tanti strumenti a disposizione per decidere quando raccogliere il suo prodotto. Se vorrà comunque raccogliere a metà luglio usando acido gibberellico, perché interessato ad avere una maggiore dimensione degli acini, potrà farlo, ma dovrà ridurre il carico della pianta. Quindi, di fondamentale importanza risulta essere il momento in cui si prepara il programma di ingrossamento di qualsiasi varietà, al fine di capire quando si vuole raccogliere e che tipo di prodotto si vuole ottenere (colore, quantità, dimensioni bacca, ecc).
È sulla base di tali obiettivi commerciali che si dovrebbe preparare il programma di ingrossamento, consci anche dei rischi che questo comporta.
Per alcune uve, come Crimson seedless, una delle varietà che si sta più impiantando negli areali di produzione pugliesi, è storicamente noto il problema della colorazione non omogenea.
Tra le cause che più influiscono sulla colorazione della Crimson vi sono innanzitutto i fattori genetici (tale varietà eredita questa difficoltà a colorare dai propri parentali), i fattori climatici e ambientali (in zone più calde la colorazione tende ad essere molto difficile), la quantità di produzione (maggiore è il carico della pianta, minore sarà la capacità di colorare), il vigore (deve esserci un vigore ben sostenuto, ma non tale da ombreggiare e impedire la presenza di luce) e il programma di ingrossamento (di cui si è già parlato).
Ad oggi mancano in catalogo sostanze in grado di aiutare effettivamente la colorazione, quali l'acido abscissico e l'etephon.
Però anche questi ultimi fitoregolatori in grado di accelerare ii processo di maturazione, il cui utilizzo dovrebbe sempre avvenire con moderazione e raziocinio, in presenza di un elevato carico produttivo e di un utilizzo eccessivo di ormoni per l'ingrossamento, potrebbero non avere effetto.
Fitoregolatori e cracking
I fitoregolatori potrebbero aumentare la suscettibilità degli acini al cracking (o spacco). Appare ovvio che una bacca più grande ed un grappolo più compatto diventano più sensibili a fenomeni di spacco e meno resistenti alle intemperie, soprattutto in caso di varietà di uve tardive. Il cracking è una fisiopatia complessa la cui insorgenza è favorita anche da suscettibilità varietale e una serie di particolari condizioni ambientali (piogge, umidità elevate, escursioni termiche pronunciate..) e agronomiche (irrigazioni eccessive) che portano ad un aumento del turgore interno della bacca durante la post-invaiatura, in particolare nella fase che precede la completa maturazione, momento in cui si ha un irrigidimento dell'esocarpo.
Fitoregolatori: varietà con semi vs varietà seedless
L'utilizzo degli ormoni di sintesi è legato all'estetica, aspetto importante soprattutto per alcune varietà tradizionali come Italia o Vittoria. Per circa 20 anni la coltivazione di varietà con semi non richiedeva alcun tipo di ingrossamento, ma nel momento in cui il mercato ha cominciato a richiedere uve con acini di calibro maggiore si è dovuto ricorrere all'uso dei fitoregolatori, il cui eccessivo utilizzo ha comportato in alcuni casi la di perdita delle caratteristiche originarie del prodotto.
Per caratteristiche genetiche le uve con semi si approntano meglio all'azione dei fitoregolatori. Per le varietà senza semi il discorso è invece più complesso poiché fisiologicamente, avendo un aborto prematuro dei semi, hanno una capacità ad attrarre sostanze nutritive nell'acino inferiore alle uve con i semi. Storicamente alcune varietà tradizionali apirene come la Thompson o la Flame seedless hanno bisogno di altissime quantità di gibberelline per ottenere una dimensione minima commercializzabile. Con la Thompson si potrebbe arrivare tranquillamente a 200 grammi di acido gibberellico per ettaro, mentre con la Flame seedlees a 150 grammi. Nel tempo il miglioramento genetico ha immesso sul mercato varietà con meno esigenze di gibberelline.
La Superior seedleess, introdotta nei primi anni '80, necessita di quantità di gibberelline pari a 10-20 grammi ettaro (utilizzare 20 grammi nei nostri areali potrebbe essere pericoloso, mentre in altre zone si usano tranquillamente) per ottenere acini con dimensioni accettabili.
Un ulteriore passo in avanti lo si è fatto con le nuove uve apirene, i cui programmi di miglioramento genetico hanno la prerogativa di ottenere le cosiddette "varietà go-fishing" (che letteralmente tradotto significa "vai a pesca", nel senso che il produttore non deve preoccuparsi di eseguire molte operazioni colturali). Pian piano si sta arrivando a varietà che necessitano sempre meno di acido gibberellico o altri ormoni, anche perché, dal punto di vista produttivo, è sempre meglio coltivare una varietà che naturalmente raggiunge dimensioni accettabili, piuttosto che utilizzare ormoni in grado, come già detto, di interferire ed alterare una serie di funzioni della pianta.
Esistono nuove varietà già presenti sul mercato o la cui introduzione è imminente, in cui l'aumento del calibro dell'acino risulta molto elevata in quanto si raggiungono naturalmente, e talvolta si superano, i 28 millimetri di diametro senza alcun intervento con fitoregolatori.
I fitoregolatori e gli stress della pianta
In merito all'utilizzo di fitoregolatori per superare gli stress della pianta, la letteratura non riporta molti dati a riguardo.
In alcuni areali con primavere molto fredde, dove si verifica un difficile sviluppo del germoglio durante le prime fasi, alcune aziende utilizzano piccoli quantitativi di ormoni per far superare alla pianta il momento di stress legato alle basse temperature e rendere il germoglio più "vivace".
Oltre questo utilizzo specifico degli ormoni non ne esistono altri per il superamento di stress, in quanto le concentrazioni di queste sostanze potrebbero interferire con le altre funzioni della pianta. Se esistono stress di natura nutrizionale, idrica, termica, patologica, ecc., è sempre preferibile valutare agronomicamente le cause di tale stato, piuttosto che risolvere il problema ricorrendo all'uso di fitoregolatori.
Non bisogna dimenticare che le piante da sé sono in grado di produrre ormoni endogeni. Una pianta in salute e in buono stato vegetativo, quindi con una buona e naturale produzione di ormoni, è in grado di rispondere meglio ai trattamenti esterni con fitoregolatori.
Invece, una condizione di stress rende la risposta della pianta a trattamenti con citochinine o gibberelline nulla o prossima allo zero, pertanto l'utilizzo di queste sostanze sarebbe inutile.
Miscele tra fitoregolatori e con altri prodotti
Gibberelline e citochinine agiscono in modo sinergico, ossia l'effetto combinato degli elementi è superiore all'effetto di un singolo ormone utilizzato alle stesse concentrazioni. L'utilizzo combinato va valutato nel momento in cui si prepara il programma di ingrossamento. Le gibberelline si usano da più tempo ed il loro impiego in diverse parti del mondo si è ormai standardizzato, mentre l'uso di citochinine a livello planetario si è ridotto a causa dei rischi legati ai ritardi di maturazione e di colorazione. In linea di massima nel mondo, tralasciando il nostro Paese che rappresenta l'eccezione, l'uso di citochinine è limitato a pochi grammi per ettaro (da 0,5 a 2 g/ha) in associazione con gibberelline per garantire l'effetto sinergico sopra descritto.
Generalmente le citochinine vengono aggiunte per irrobustire il rachide sottile di alcune varietà e soprattutto per avere stessi risultati di ingrossamento diminuendo l'apporto di gibberelline (per avere meno rischi di diminuzione di fertilità).
In merito all'associazione dei fitoregolatori con altre sostanze nutritive, esistono centinaia di correnti di pensiero. Frequente è l'associazione con prodotti azotati, fosforici, alghe o altri coadiuvanti. In realtà in un trattamento eseguito correttamente, ovvero con piante in perfetto equilibrio, temperatura ideale, volumi di acqua e velocità di avanzamento idonei, basterebbe utilizzare solo il fitoregolatore per ottenere una risposta sufficiente. Tutti i coadiuvanti, in condizioni di cattiva bagnatura o di stato fisiologico della pianta leggermente inferiore a quello desiderato, aiutano a migliorare l'effetto degli ormoni ma non fanno la differenza nella riuscita o meno del trattamento. Spesso vengono utilizzati solo perché entrati a far parte della ritualità dell'agricoltore, in particolare se durante una stagione passata si sono ottenute risposte eccellenti. In realtà bisogna ricercare la perfezione nelle modalità di trattamento piuttosto che nell'uso del prodotti miracolosi.
Periodi di applicazione
In fase di germogliamento-prefioritura i fitoregolatori possono essere utilizzati per l'allungamento del rachide. In molte varietà apirene, come già illustrato, le gibberelline si possono usare in piena fioritura per migliorare l'allegagione e ottenere grappoli spargoli e con un numero minore di acini mal allegati (acinini). Nella maggior parte dei casi si interviene tra il 90% e 110% di fioritura con dosi ridotte (1-2 ppm).
Il momento di intervento è quanto mai importante e la percentuale di fioritura va valutata considerando il totale delle caliptre aperte nel vigneto.
L'intervento con gibberelline e citochinine per l'ingrossamento va effettuato, invece, nel periodo che va da fine allegagione ad inizio invaiatura. I trattamenti effettuati precocemente (nei giorni successivi a fine allegagione) hanno una efficacia maggiore, mentre interventi tardivi hanno effetti progressivamente minori. Applicazioni effettuate dall'invaiatura in poi non aumentano le dimensioni della bacca. Nelle varietà seedless le risposte migliori al trattamento si hanno a diametri della bacca inferiori (da 5 a 8 mm) mentre nelle varietà con semi la finestra di risposta al trattamento è più ampia (da 8 ad 13-14mm).
Modalità di applicazione: acidificare sì o no?
Acidificare la soluzione è sempre meglio, ma in base ad esperienze e prove sperimentali, con una perfetta bagnatura la presenza o meno dell'acido non influisce sull'effetto finale. Tuttavia, soprattutto in caso di gibberelline, essendo questa una molecola più attiva in ambiente acido, considerando anche l'alcalinità delle nostre acque, è sempre preferibile utilizzare acidificanti portando il pH della soluzione ad un range tra 4 e 4.5. Acidificare è meglio, ma se ci si dimentica di farlo e il trattamento viene eseguito alla perfezione, i fitoregolatori funzionano ugualmente.
Importante potrebbe essere l'utilizzo di bagnanti e tensioattivi in grado di migliorare la distribuzione della soluzione sulla superficie dell'acino, ma anche in questo caso la loro aggiunta non è decisiva per la riuscita del trattamento.
L'influenza della temperatura
L'effetto del fitoregolatore è legato alla capacità della pianta di
assimilare il prodotto nelle prime ore successive all'applicazione. Se durante il trattamento o nelle 4-5 ore successive la temperatura raggiunge e supera i 35°C, le piante chiudono gli stomi e riducono tutte le funzioni riducendo la loro capacità di assorbimento del prodotto.
Stesso discorso vale se le temperature sono inferiori ai 18°C. Il range ideale di temperatura per l'utilizzo dei fiteregolatori è tra i 18 e i 33°C, ma sarebbe preferibile operare tra i 25 e i 28°C. Ovviamente il tutto dipende dal contesto aziendale in cui si opera.
In un'azienda di elevate superfici è difficile concentrare i trattamenti nella fascia giornaliera in cui si raggiungono le temperature idonee al trattamento e in questi casi l'organizzazione aziendale gioca un ruolo fondamentale.
Anche la tempistica dell'intervento è molto importante.
Se per ottenere i migliori risultati l'applicazione del fitoregolatore deve avvenire con diametro della bacca di 8 mm, tale parametro dovrà essere rispettato per evitare riduzioni di efficacia a causa di applicazioni più tardive.
Quindi trattare con il giusto calibro degli acini o aspettare che le condizioni di temperatura siano ottimali? Meglio applicare gli ormoni con bacche del giusto calibro, a meno che le temperature risultino eccessivamente elevate (superiori ai 35-38°C), anche se difficilmente, nel periodo in questione si superano tali valori. Inoltre, la luce non influisce sull'assorbimento degli ormoni, quindi il trattamento può essere effettuato indifferentemente nelle ore notturne o diurne. In alcune parti del mondo ci sono molte aziende che preferiscono trattare di notte perché durante giorno si raggiungono, in particolare nelle zone desertiche, temperature eccessivamente alte, con difficoltà operative non trascurabili legati alla mancanza di visibilità.
Piogge dopo il trattamento
Il 50% dei fitoregolatori viene assorbito dall'acino nella prima ora successiva al trattamento. La velocità di assorbimento diminuisce nelle ore successive fino ad un assorbimento dell'80% nell'arco delle 24 ore.
L'effetto residuale permane per circa 4-5 giorni dall'applicazione. Eventi piovosi nelle ore immediatamente successive al trattamento ne diminuiscono l'efficacia, mentre umidità atmosferiche elevate migliorano l'assorbimento nell'acino.
L'umidità atmosferica
Le condizioni di umidità all'interno del vigneto sono molto importanti. Generalmente una buona umidità atmosferica migliora la risposta del trattamento ormonale poiché la pianta è in grado di assimilare meglio e più rapidamente i fitoregolatori.
In Italia si utilizzano quantità medie di ormoni nettamente inferiori rispetto a quelle usate in altre aree di produzione del mondo, come California o paesi sudamericani, dove si ottiene un diametro delle bacche del tutto paragonabile a quello delle nostre uve. Probabilmente nel Sud Italia ci sono particolari condizioni di umidità più elevata dove anche quantità inferiori di ormoni garantiscono una risposta soddisfacente, in particolare se le uve sono coltivate sotto tela plastico, un ambiente più protetto dove il trattamento si asciuga più lentamente.
Bisogna sottolineare però che con eccessiva umidità (ad esempio in presenza di condensa mattutina) sarebbe necessario evitare assolutamente l'applicazione dei fitoregolatori. In tali condizioni si potrebbe verificare un eccessiva concentrazione di prodotto sull'acino, con una forte bagnatura in grado di permanere per diverse ore, causando le caratteristiche bruciature sotto l'acino; danni che negli ultimi anni si sono verificati diverse volte.
È luogo comune attribuire questa fitotossicità a trattamenti rameici precedenti al trattamento ormonale, in realtà spesso sono più legati ad applicazioni errate effettuate in condizioni di elevata umidità.
L'importanza della bagnatura
I fitoregolatori non sono prodotti sistemici ed hanno un'azione più o meno puntiforme, ovvero riescono a diffondersi nell'area immediatamente circostante la bagnatura. Questo concetto è valido soprattutto per le citochinine. Ad esempio su kiwi, trattamenti errati di CPPU con bagnatura non uniforme determinano una malformazione del frutto, con zone più pronunciate rispetto ad altre. La bagnatura, quindi, rappresenta l'ABC di un trattamento ormonale. Sarebbe impensabile utilizzare soli 300-400 litri di acqua per ettaro per la distribuzione dei fitoregolatori. Canonicamente si dovrebbero utilizzare almeno 1000 litri/ettaro. In realtà tali valori sono variabili e dipendono del sesto di impianto e dal sistema di allevamento. Andrebbero quindi tarate le botti in ogni contesto aziendale, al fine di ottenere una bagnatura uniforme e totale dei grappoli. Tale aspetto è influenzato anche da alcune operazioni colturali, in primis la defogliazione, indispensabile per esporre tutti i grappoli al trattamento.
Da parecchi anni, soprattutto in Sud America (Cile e Perù) e in California per le applicazioni ormonali si utilizza un tipo differente di macchina, ovvero quella di tipo elettrostatico. Anche in Italia sono presenti macchine elettrostatiche, ma queste non sono idonee per i nostri vigneti e quasi mai la parte elettrostatica è pienamente funzionale. In Cile e Perù si usano tali macchine in grado di distribuire bassissimi volumi, circa 60-100 litri per ettaro, e di produrre particelle finissime, quasi impercettibili, che vanno a posizionarsi preferibilmente sul grappolo e meno sulla vegetazione.
Ciò permette di poter utilizzare in modo più efficiente quantità superiori di ormoni senza compromettere altre funzioni della pianta, in primis la fertilità delle gemme. Tutte le aziende di questi paesi sono dotate di tali macchine, trainate o anche semoventi. Si distinguono per il costo notevole ma l'efficienza del trattamento risulta essere nettamente superiore.
Progettate inizialmente per essere usate in aziende di elevate superfici, nei nostri areali di produzione tali macchine potrebbero essere utilizzate, anche se, come noto, la nostra viticoltura è caratterizzata da vigneti di ridotte superfici e strade poderali strette e non idonee al loro transito.. Probabilmente anche in Italia sarà introdotto a breve qualche modello.
I volumi per ettaro
Per ottenere una bagnatura dei grappoli uniforme la dimensione e il numero degli ugelli, la presenza o meno della ventola e la velocità di avanzamento del trattore devono essere tarate. In linea di massima gli interventi vanno effettuati a velocità ridotta, intorno ai 3,5-4 km/e il volume di acqua utilizzato deve essere almeno di 1000 litri, parametro variabile in base al sesto di impianto e all'esposizione della vegetazione. Sarebbe consigliabile trattare prima qualche fila per verificare l'efficienza della bagnatura e, al raggiungimento del risultato voluto, segnarsi i valori di pressione, velocità di avanzamento e apertura degli ugelli, in modo da utilizzare la stessa tecnica anche negli anni futuri.