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Estratto da "Difesa sanitaria in produzione integrata"
a cura di Alda Butturini e Tiziano Galassi

 

Introduzione

I mezzi di difesa fisici e meccanici rappresentano una valida soluzione per talune realtà. La ricerca in questo settore ha registrato negli ultimi tempi un interesse crescente. In particolare le maggiori attenzioni sono state indirizzate alla difesa delle colture da parassiti, quali i patogeni tellurici ed i nematodi, che per il loro habitat sono difficilmente raggiungibili dai prodotti chi­mici.

 

Questo crescente interesse è in parte imputabile alle forti restrizioni di utilizzo imposte ai fumiganti, unici prodotti chimici in grado di raggiungere i parassiti nel terreno. Lo studio di tecniche basate su mezzi fisici e meccanici è inoltre stimolato dalla necessità di amplia­re le tecniche di difesa in agricoltura biologica ma anche di disporre di valide alternative per limitare gli apporti di sostanze chimiche in produzione integrata.

 

Concrete possibilità applicative sono fornite dalla solarizzazione e dal vapore surriscaldato, tecniche che sfruttano l'energia solare ed il calore come mezzi di contenimento dei parassiti del suolo.

 

Tra le tecniche di tipo meccanico si evidenziano le reti anti-insetto che agiscono da barriera fisica all'entrata degli insetti nel frutteto e nelle serre.


La solarizzazione

(Loredana Antoniacci)

 

In sistemi colturali di tipo intensivo e altamente spe­cializzati, quali le coltivazioni orticole in pieno campo e soprattutto in ambiente protetto, si rendono spesso necessari interventi rivolti al contenimento dei paras­siti tellurici, vegetali ed animali (funghi, nematodi, insetti) e delle erbe infestanti che arrecano danno alle colture. La solarizzazione rappresenta un metodo di difesa "leggero" in grado di ridurre negli strati più superficiali del terreno la carica di inoculo di alcuni patogeni della sfera radicale e di devitalizzare i semi di alcune specie infestanti.

 

Introdotta verso la fine degli anni settanta, la tecnica consiste nell'incrementare la temperatura del terreno attraverso l'uso di plastiche pacciamanti. Con l'applicazione di questa agro-tecnica si sottopone il terreno (opportu­namente lavorato e bagnato al fine di incrementare la capacità termica e pacciamato con un film plastico di ridotto spessore, trasparente ed incolore) all'irrag­giamento solare per un cospicuo numero di giorni durante il periodo di massima insolazione. L'efficacia della tecnica dipende dalle temperature raggiunte dal terreno alle varie profondità e dall'attenta ese­cuzione di tutte le operazioni indispensabili per un buon risultato.

 

L'Italia per la sua posizione geografica si colloca al limite dell'area temperato-calda ove la solarizzazione si presume abbia un'efficacia significativa e questa sarà tanto più elevata nelle regioni a maggior irraggiamento solare.


In numerose prove sperimentali realizzate soprattutto nel Sud Italia (ma anche in regioni del Centro-Nord) questa tecnica ha dimostrato una efficacia nei con­fronti di vari patogeni fungini quali Pyrenochaeta lycopersici, Verticillium dahliae, Fusarium oxysporum f.sp. melonis, Fusarium oxysporum f.sp. radicis-lyco­persicis, Sclerotinia spp., Rhizoctonia spp., Phoma lycopersici, Phytophthora capsici.

 

In alcune esperienze è stata messa in luce una attività verso le larve di Agriotes (ferretti) mentre, nei confron­ti dei nematodi galligeni del genere Meloydogine, i risultati non sono stati sempre ottimali.


Gli aspetti applicativi: come si realizza

Il terreno deve essere preparato come se si dovesse già provvedere alla semina o al trapianto della coltura attraverso una lavorazione dei primi 30 cm di profon­dità del suolo ed un suo livellamento.

 

Prima dell'applicazione del film plastico il terreno deve essere abbondantemente irrigato per portarlo fino alla saturazione idrica così da favorire la trasmis­sione del calore dagli strati superficiali a quelli più profondi. In tal modo aumenta la capacità termica del terreno, che è tanto maggiore quanto più è ridotta la fase gassosa e quanto più è elevata quella liquida. Inoltre la presenza dell'acqua nel suolo stimola le attività vitali di organi di resistenza di funghi, parassiti animali e di semi rendendoli così più vulnerabili.

Immediatamente dopo l'irrigazione il terreno va coperto con un film plastico trasparente di ridotto spessore (da 0,03 a 0,05 preferibilmente PE) cercando di far aderire quanto più possibile il film al terreno e interrando i bordi.


Sia in coltura protetta che in pieno campo, alle lati­tudini dei paesi mediterranei, la solarizzazione deve essere eseguita in piena estate, tra i mesi di giugno ed agosto, per una durata da un minimo di 40 giorni ad un massimo di 70 giorni. Quando realizzata in col­tura protetta, il tunnel deve essere tenuto chiuso. La solarizzazione è efficace quanto maggiore è il nume­ro di ore con temperature superiori a 37 °C, limite considerato critico per la validità del trattamento di sanificazione sui principali parassiti tellurici.

Una volta tolto il film plastico è importante non rime­scolare il profilo verticale, pertanto la fertilizzazione minerale a favore della coltura che segue va eseguita prima della copertura, e le lavorazioni, quando non è prevista la pacciamatura, devono prevedere al massimo la rottura della crosta. La solarizzazione può essere integrata dall'interramento di materiali organici, quali compost, residui vegetali, paglia la cui decomposizione comporta l'emissione di sostanze volatili che favoriscono il livello di fungistasi o sono direttamente letali per alcuni microrganismi tellurici e può essere associata anche a dosi ridotte di geodi­sinfestanti.


I meccanismi coinvolti

I meccanismi che stanno alla base dell'efficacia della solarizzazione sono complessi e si possono riassu­mere in: effetto termico e meccanismi biologici. L'effetto termico è legato all'esposizione di un organismo a temperature superiori a quella mas­sima di sviluppo, ma la previsione dell'efficacia del trattamento è complicata dal fatto che nel terreno la temperatura non è costante, per cui tale soglia critica per un patogeno può non essere raggiunta, in tal caso si possono avere effetti sub-letali cioè una ridotta vitalità del patogeno che si può tradurre in una riduzione della malattia e in una minor competizione del patogeno rispetto a microrganismi antagonisti.

I meccanismi biologici sono conseguenza di modi­ficazioni quali-quantitative della microflora del terre­no che vedono un incremento delle specie termo tolleranti o comunque dotate di notevoli capacità saprofitarie. Esistono prove sperimentali indicanti la possibilità che terreni sottoposti al trattamento riscal­dante diventino dei terreni "repressivi" cioè sviluppino la capacità di ridurre l'accrescimento dei patogeni, L'altro effetto dimostrato è relativo alla capacità della solarizzazione di rimuovere la fungistasi inducendo il patogeno a germinare in assenza dell'ospite, questo vale in particolare per i patogeni che formano micro­sclerozi.

Si sono osservate anche modifiche nella composi­zione dei gas nel terreno durante la fase di copertura a causa dei limitati scambi con l'atmosfera esterna. Tali modifiche sono in grado di influenzare gli equilibri ecologici del suolo. L'aggiunta di ammendanti prima della solarizzazione ha proprio lo scopo di esaltare questo possibile meccanismo di azione.



Gli effetti collaterali

Gli effetti collaterali positivi sono riconducibili a:

  • incremento della crescita delle piante che si registra dopo la solarizzazione anche in terreni in cui non si siano riscontrati patogeni specifici. Quest'effetto è dovuto sia all'aumento delle componenti microbi­che che rendono disponibili per la pianta elementi minerali quali azoto e fosforo, che al contenimento di microrganismi della rizosfera. Tali microrganismi, pur non essendo dei patogeni principali, possono danneggiare in qualche modo l'apparato radicale;
  • minore presenza di specie di infestanti e di numero di piante per specie a seguito del trattamento.
 
I punti critici

I punti critici rispetto all'applicabilità di questa tecnica sono dati da:

  • la durata del periodo di applicazione della tecnica di solarizzazione è onerosa perché mantiene il terreno fuori produzione per un periodo molto lungo; l'efficacia non è sempre elevata perché legata all'andamento climatico;
  • l'efficacia è minore in pieno campo;
  • costi da sostenere per lo smaltimento dei film pla­stici non biodegradabili;
  • possibili danni alle strutture interne in serra.


il vapore surriscaldato

(Loredana Antoniacci e Giovanna Curto)

 

La disinfezione con l'uso del vapore rappresenta una alternativa all'uso di fumiganti per il contenimento dei parassiti tellurici e delle infestanti nei sistemi colturali specializzati. Le prime sperimentazioni riguardanti la possibilità di usare il vapore d'acqua come mezzo per disinfettare e/o disinfestare il terreno risalgono a più di un secolo fa quando iniziarono a comparire i primi problemi di "stanchezza" del terreno.


Gli aspetti applicativi

La disinfezione con calore umido consiste nel riscal­dare il terreno per almeno 20 minuti a temperature comprese tra 70 e 80 °C o per pochissimi minuti a temperature comprese tra i 90 e 100 °C. L'esposizione per almeno 10 minuti a temperatura di 54 °C è letale per alcuni semi di infestanti termo­sensibili e nematodi, mentre a 71 °C viene inattivata la maggior parte di semi di infestanti e funghi non in grado di formare organi di resistenza mentre non meno di 93 °C sono necessari per devitalizzare l'a­gente del virus del mosaico del pomodoro contenuto nei tessuti radicali delle piante infette rimasti nel ter­reno. Al momento attuale l'applicazione del vapore surri­scaldato può essere effettuata con attrezzature per la produzione e distribuzione del vapore:

  • a postazione fissa (richiedono manodopera qualifi­cata e sono poco adattabili alle diverse condizioni operative);
  • a postazione mobile (macchine semoventi o trai­nate).

I tempi di applicazione sono piuttosto lunghi: per trattare un ettaro di terreno occorrono dalle 70 alle 100 ore lavorative.

I vantaggi

Questo tipo di trattamento è applicabile su tutte le colture e non richiede intervalli di sicurezza pre­trapianto o semina. Il metodo ha trovato spazi applicativi soprattutto per la disinfezione di strati di terreno ridotti quindi in floricoltura ed in orticoltura in ambiente protetto. Si può ritenere una tecnica a basso impatto ambien­tale fatta eccezione per la notevole richiesta di com­bustibile.


I punti critici

I punti critici si concentrano nei costi elevati per  manodopera, macchinari, combustibili, tempo, eventuale carenza di macchinari adatti e inconvenienti legati allo stato finale del terreno. Vediamo nel det­taglio.

  • il costo elevato al metro quadro del trattamento è dovuto principalmente al consumo di combustibile ed è il fattore che, prevalentemente, ne ha finora limitato l'impiego.
  • La definizione del tempo di durata per un tratta­mento efficace. Questo dipende dalla natura fisica del terreno e dalla sua umidità:
    - nel caso di contenuti via via crescenti di acqua nel terreno, la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado la temperatura aumenta e di conseguenza anche il tempo per ottenere un determinato incremento termico;
    - quando il terreno è troppo povero d'acqua, l'assenza della trasmissione per convezione e la sola trasmissione per conduzione rende più lenta la trasmissione del calore e quindi i tempi di esecuzione del trattamento tornano ad aumentare.
  • La mancata disponibilità o dotazione di macchine in azienda che consentano trattamenti in contem­poranea su vaste superfici.
  • I costi delle macchine generalmente elevati.
  • Il notevole impiego di manodopera.
  • La forte riduzione della microflora del terreno che si traduce in un "vuoto biologico" e una solubilizzazio­ne di elementi fitotossici.


Un nuovo sistema applicativo

Maggiori possibilità applicative sembrano possano essere offerte da un nuovo sistema (Bioflash) per la disinfezione e disinfestazione del suolo con vapore che prevede l'associazione con sostanze a reazione esotermica. L'aspetto innovativo del sistema riguar­da la distribuzione e l'incorporazione nel terreno di sostanze, dotate di ridotto impatto ambientale e compatibili con le coltivazioni successive, in grado di reagire esotermicamente con il vapore (es. KOH e CaO) rilasciando una quantità aggiuntiva di energia termica. La reazione esotermica consente di raggiungere temperature più elevate rispetto all'impiego del solo vapore, prolunga la durata del riscaldamento ed ha un effetto diretto su parassiti e semi di specie infestanti.

L'adozione di questa tecnica innovativa permette il trapianto o la semina immediatamente dopo il trattamento e consente, inoltre, di intervenire in un solo passaggio mediante l'impiego di attrezzature combi­nate e di ottimizzare l'efficienza riducendo i consumi energetici.

Questo sistema è stato sperimentato in diverse condizioni ambientali, operative e produttive (sia in serra e tunnel che in pieno campo) e su differenti problematiche fitoiatriche. Risultati positivi sono stati evidenziati nel contenimento sia di patologie fungi­ne (Sclerotinia minor e S. sclerotiorum su lattuga e ravanello, Rhizoctonia solani su ravanello e rucola, Phytium spp. Sclerotinia rolfsii e Fusarium f.sp. lyco­persici su pomodoro, S. minor e Fusarium oxyspo­rum f.sp. basilici su basilico), sia di nematodi su zucchino, lattuga e patata (valori di efficacia dal 65 al 95%), sia di semi di piante infestanti. Inoltre il sistema sembra non produca nel suolo un effetto eradicante, ossia, il così detto "vuoto biologico".


Reti anti-insetto

(Stefano Vergnani, Stefano Caruso, Alda Butturini)

Reti anti-insetto nel frutteto

L'impiego di reti antigrandine per la difesa delle pomacee dall'insetto chiave Cydia pomonella, è una recente innovazione giunta dalla vicina Francia, dove il metodo è denominato "Alt-Carpo". Severac e Romet sono stati gli ideatori di questa originalissima tecnica, che in breve tempo si è diffusa in altri Paesi, In Francia gli ettari di melo coperti da reti antigrandi­ne con funzione anti-insetto sono negli ultimi anni in costante crescita ed attualmente ammontano a oltre 1500-2000 ettari. Anche in Italia sono state condotte diverse sperimentazioni per valutare l'efficacia del metodo e dare risposta ad alcuni interrogativi circa l'impatto delle reti sulla coltura e sulle relative awer­sità. I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti tanto che le reti antinsetto sono attualmente applicate su circa 300-350 ettari di pomacee.


Come agiscono

Le reti antigrandine impediscono o minimizzano l'en­trata degli insetti causando nel tempo una progressi­va diminuzione dell'entità numerica delle popolazioni nel frutteto.

Gli accoppiamenti degli insetti presenti sotto rete  vengono fortemente ridotti o azzerati. Tra le possibili cause, tuttora oggetto di studio, può essere citato l'effetto "disturbo" esercitato dalle reti durante la fase del corteggiamento. In questa fase l'insetto predilige infatti il culmine della vegetazione. Altre cause posso­no essere ricercate nella modificazione dei parametri microclimatici sotto rete.

 

Gli aspetti applicativi

 

Il sistema di protezione è costituito da reti tipo antigrandine bianche con maglie di mm 5,4 x 2,2. Tuttavia sono attualmente in corso di verifica l'utiliz­zo di reti a maglie di dimensioni superiori e di colori diversi.

Gli impianti di reti antinsetto possono essere di due tipi: monofila e monoblocco.

 

Monofila: consiste nella copertura delle singole file. Nella forma più semplice ed economica la struttura è composta di reti appoggiate direttamente sulla chioma delle piante che, per supportare il peso della rete, devono essere di buon vigore. In alterna­tiva si possono realizzare strutture più articolate che prevedono un filo di colmo alla sommità delle piante, elastici utilizzati come distanziatori fra le vegetazione e la rete ecc.


Queste strutture permettono di creare maggior spa­zio per le piante, ridurre le abrasioni dei frutti e agevolare la movimentazione delle reti.

Sotto un profilo di interferenza con le operazioni colturali si evidenziano:

  • percorrenza del frutteto: nessuna limitazione; operazioni sulla pianta quali diradamento, potatura estiva, pulizia (es: colpo di fuoco batterico), raccolta: sono ostacolati ma attualmente sono allo studio sistemi meccanici per agevolare l'apertura e la chiusura delle reti;
  • lavorazioni sulla fila: superata tenendo opportuna-
    mente sollevata la rete a 50-60 cm dal terreno;
  • trattamenti fitosanitari: possono essere eseguiti normalmente con le normali irroratrici in quanto le soluzioni passano efficacemente attraverso la rete.

 

Monoblocco: consiste nella copertura dell'intero appezzamento. Si tratta, nella pratica, di un tradizionale impianto antigrandine, dove la rete chiude anche fino a terra i quattro i lati.

Sotto un profilo di interferenza con le operazioni colturali i vantaggi e gli svantaggi, esattamente anti­tetici rispetto alla tipologia monofila, sono i seguenti:

  • entrata nel frutteto: richiede la movimentazione della rete nelle testate o la realizzazione di un appo­sito spazio creato davanti alle testate;
  • operazioni sulla pianta: potatura, diradamento, interventi fitosanitari, raccolta ecc. non trovano impedimento alcuno.



Efficacia nel contenimento del fitofago

 

Nel monofila i vantaggi sono il contenimento certo e pressoché completo della carpocapsa. In assenza di interventi insetticidi specifici il danno da carpocapsa osservato nei frutteti commerciali è praticamente assente o comunque inferiore all'1%. 

 

Nel monoblocco le popolazioni di carpocapsa ven­gono ridotte in maniera significativa. Tuttavia è con­sigliata l'integrazione del metodo, se necessario, con specifici interventi insetticidi.

 

Ulteriori vantaggi

 

La tecnica di difesa con reti antigrandine permette di diminuire drasticamente il numero di interventi insetticidi contro la carpocapsa. Nei frutteti dove il metodo è stato applicato, sono stati eliminati dagli 8 ai 12 trattamenti.

 

Nei casi di gravi problematiche fito­sanitarie e su produzioni di cultivar tardive, è possibile risparmiare fino a 15 interventi. Riduzioni così ampie del numero di interventi non sono mai state ottenute da precedenti innovazioni, neppure ottimizzando le strategie di difesa attraverso gli strumenti di suppor­to attualmente disponibili (es. trappole sessuali per il controllo dei voli, monitoraggi di campo, modelli previsionali di sviluppo dei fitofagi, utilizzo della con­fusione/distrazione sessuale ecc.).


Ulteriori vantaggi ottenuti:

  • riduzione drastica dei residui chimici nella frutta e nell'ambiente;
  • facilitazioni nella realizzazione di produzioni biolo­giche;
  • nessun incremento delle principali malattie fungine (ticchiolatura, maculatura del pero);
  • riduzione dei danni causate da miridi (frutti deformi);
  • protezione dalla grandine;
  • protezione dei frutti dagli uccelli (incremento dei danni negli ultimi anni);
  • protezione delle ali gocciolanti da insetti e uccelli;
  • controllo (nel monofilare) dell'allegagione e quindi della carica produttiva nel melo in alternativa al diradamento.

 

Possibili svantaggi

Gli svantaggi si concretizzano in un incremento di manodopera per la gestione delle operazioni agro­nomiche e un possibile incremento di attacchi da Metcalfa in annate favorevoli.


Reti anti-insetto nelle serre

L'impiego delle reti cosiddette "anti-insetto" costitu­isce un sistema semplice ed intuitivo per prevenire lo sviluppo degli insetti dannosi in coltura protetta. È noto che le condizioni climatiche in questo ambiente favoriscono lo sviluppo degli insetti, i quali possono causare notevoli danni se non opportunamente trat­tati.

 

Gli insetti più diffusi sono afidi (Aphis fabae, Aphis gossypií, Macrosiphum euphorbiae, Myzus persicae), tripidi (Franklíniella occidentalis, Thrips tabaci), aleu­rodidi (Trialeurodes vaporariorum, Bemísia tabaci), mosche minatrici (Lyriomiza trifolii, Lynomiza hui­dobrensis), cicaline (Hauptidia maroccana) e cimici (Nezara viridula).

 

Molte tra le specie menzionate, oltre a danneggiare la pianta a seguito della sottrazione di linfa o per le gallerie scavate nelle foglie e nei frutti, sono anche in grado di trasmettere virus o favorire l'instaurarsi di malattie batteriche. Un grave problema è inoltre la facilità con la quale tali specie sviluppano resistenza agli insetticidi, il che rende inefficaci in breve tempo anche i prodotti fitosanitari da poco immessi sul mercato.

 

Altri insetti, quali la dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata), la nottua gialla del pomodoro (Helicoverpa armigera), la tuta (Tuta absoluta), la piralide (Ostrinia nubilalis) ecc., possono danneggia­re pesantemente le produzioni in ambiente protetto a causa delle erosioni provocate sulla vegetazione.


Come agiscono

 

Le reti anti-insetto fungono da barriera che impedisce l'entrata degli insetti dannosi nelle serre.

 

Gli aspetti applicativi

 

Le reti sono in polietilene ad alta densità, trasparenti (a bassissimo potere ombreggiante) o nere (con fun­zione di ombreggiamento) e caratterizzate da maglie di dimensione variabile a seconda del tipo di insetto del quale si vuole impedire l'accesso (es: mm 0,28 x 0,77; mm 0,4 4x 0,77; mm 0,69 x 0,69 ecc.). Le tipologie di reti in commercio sono stabilizzate ai raggi UV.

 

I modelli a maglie più larghe sono sufficienti per trattenere grossi lepidotteri e coleotteri mentre dimi­nuendo via via le dimensioni delle maglie può essere escluso il passaggio di insetti come afidi, aleurodidi, tripidi e acari. Tutti questi parassiti possono giungere nelle serre oltre che attivamente, anche in maniera passiva ovvero trasportati dal vento.

 

Perché siano efficaci le reti vanno collocate prima dell'impianto della coltura e chiudendo tutte le aper­ture, sia quelle laterali che quelle al colmo, inclu­dendo anche le porte che devono essere dotate di sistemi di protezione a doppia camera. 


Vantaggi e svantaggi

 

L'utilizzo delle reti deve essere attentamente valutato caso per caso, tenendo conto degli aspetti favorevoli e sfavorevoli nei confronti della coltura, dei parassiti, degli organismi utili e dell'operatore.

 

Tra i pro si annovera l'esclusione, in teoria assolu­ta, di contaminazioni esterne. In generale quindi, il posizionamento di reti anti-insetto a copertura delle serre può essere considerato un metodo in grado di contenere efficacemente i danni diretti provocati dagli insetti nelle serre.

 

Tra i contro, oltre ovviamente al costo delle reti e della manodopera, va considerato che le reti ostaco­lano i movimenti di aria tra l'esterno e l'interno. Tanto più le reti hanno maglie fitte, tanto più ridotta sarà la ventilazione.

In talune situazioni questa minore ventilazione com­porta l'aumento di temperatura e/o della umidità rela­tiva all'interno delle serre che possono determinare situazioni di stress per le piante e per gli operatori, condizioni ambientali di rischio per alcuni patogeni, condizioni favorevoli per i parassiti presenti ed osta­colo alla attività di diversi loro antagonisti naturali. Alla luce di quanto detto, per le colture ad alto rischio di infestazioni esterne, o per specie vegetali delicate o soggette a virosi trasmesse da insetti vettori, l'uso della rete è fortemente consigliato sempre che la struttura della serra ne consenta un'installazione coe­rente con gli scopi e la rete sia priva di falle.


In questi casi il rischio giustifica l'installazione e altre soluzioni agronomiche potranno compensare gli aspetti negativi introdotti dalle reti.

 

In altri casi invece, potrebbe essere più ragionevole valorizzare condizioni ambientali più mitigate, nelle quali, anche se il rischio di infestazione è più alto, vengono favoriti la qualità delle piante ed il controllo naturale e biologico. Nello specifico si tratta di conte­sti produttivi nei quali sono presenti le seguenti condi­zioni: l'apprestamento protetto non è a tenuta o non può esserlo; la coltivazione scelta non ha particolari fattori di rischio; le contaminazioni esterne non sono così importanti o comunque non più di quanto lo sia l'arrivo di entomofagi selvatici dall'esterno; vengono applicate misure di prevenzione quali la selezione del materiale di propagazione od il periodo di impianto.

 

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