Vite ad uva da vino Schede colturali >>

La vite è una pianta arborea rampicante che per crescere si attacca a dei sostegni (tutori) mediante i viticci; se la pianta non viene potata può raggiungere larghezze ed altezze notevoli attaccandosi agli alberi, su pareti rocciose, o coprendo il suolo. È dotata di un apparato radicale molto sviluppato, che può superare anche i 10 metri di lunghezza.
Ha un fusto anche di lunghezza notevole da cui si dipartono numerosi rami, detti tralci.
Le foglie, dette pampini, palminervie, alterne, sono semplici e costituite da cinque lobi principali più o meno profondi, su una forma di base a cuore. Le foglie sono un carattere diagnostico molto importante per il riconoscimento dei vitigni delle varie specie, e all'interno della vite coltivata europea (Vitis vinifera sativa).

 

I frutti sono delle bacche (acini) di forma e colore variabile: gialli, viola o bluastri, raggruppati in grappoli. Presentano un esocarpo spesso pruinoso (buccia), un mesocarpo con cellule piene di succo da cui si ricava il mosto (polpa) ed un endocarpo formato da uno strato di cellule che delimita le logge contenenti i semi (vinaccioli).

Preparazione del terreno

Una razionale preparazione del terreno incide sia sulla salvaguardia del suolo (minor erosione), sia sulle sue condizioni di fertilità (miglioramento del bilancio idrico e nutrizionale). Tuttavia, prima di attuare qualsiasi intervento sul terreno, occorre procedere ad una accurata analisi chimico-fisica, prelevando campioni a diversa profondità, in funzione della variabilità del suolo. L’analisi va completata, nei terreni a maggior pendenza, se del caso, da analisi di tipo pedologico.

 

Si raccomanda di consultare, se disponibili, le cartografie pedologiche.

Clima

La vite presenta una vasta adattabilità al clima e presenta quindi un immenso areale di coltivazione.
Negli ambienti viticoli dell'Italia meridionale ed insulare non esiste il problema di un adeguata insolazione in quanto questa risulta più che sufficiente affinché si compia il ciclo biologico della vite, pianta tipicamente eliofila. Nel settentrione di'Italia esiste invece una correlazione diretta tra eliofania e contenuto zuccherino. Se la radiazione solare è in grado di determinare il grado zuccherino o l'epoca di maturazione dell'uva, la temperatura influenza tutte le fasi fenologiche della pianta, e può addirittura determinarne la morte. La vite europea inizia a manifestare danni quando si raggiungono circa i -15°C in inverno e i -5°C in caso di brinate tardive. Le vite americane hanno una soglia di danno ad una temperatura inferiore di 5°C circa, mentre gli ibridi produttori diretti e gli ibridi Vitis vinifera x Vitis amurensis rispettivamente a -25°C e a -40°C nel caso di geli invernali. I danni da eccesso termico riguardano esclusivamente la viticoltura meridionale e insulare e sono in rapporto anche alla ventosità e in particolare alla presenza dello scirocco (raggrinzimento degli acini fino ad appassimento totale).

 

Nelle zone a bassa piovosità primaverile-estiva è necessaria un'oculata regimazione idrica in modo da conservare nel terreno l'acqua caduta durante l'inverno. La pianta di vite richiede quantitativi diversi di acqua disponibile nelle differenti fasi vegetative. Una scarsa piovosità durante l'inverno induce il risveglio vegetativo, ma i germogli, dopo l'allegagione, in genere cessano di crescere e l'uva, specialmente quella dei vitigni più vigorosi, non arriva a maturazione. Danni più o meno simili si hanno anche a causa della siccità estiva, in quanto viene a mancare la disponibilità idrica proprio nel momento in cui la pianta è particolarmente esigente. Altrettanto dannose sono le piogge eccessive durante l'estate o l'autunno. Nel primo caso si determina la formazione di un prodotto molto acquoso, con basso contenuto di zuccheri e elevato di acidi, mentre nel secondo caso vengono particolarmente favoriti gli attacchi di muffa grigia con conseguenze dannose sul vino.
La vite europea presenta un'ampia adattabilità al terreno ma con l'introduzione dei portinnesti tale caratteristica non ha più importanza. Come il portinnesto, così anche il terreno è in grado di determinare la qualità e la quantità della produzione viticola sia direttamente (composizione chimica e fisica, colore) sia indirettamente in relazione ad alcuni fattori, quali la giacitura, l'esposizione, ecc., che possono modificare il microclima di quel determinato ambiente.

Terreno

I terreni possono essere di varia tessitura (da argillosa a sabbiosa).

 

Le varie specie di vite si adattano a diversissimi tipi di terreno, la specie V. vinifera ha una forte tolleranza a suoli calcarei a clima secco, e suoli aridi e drenati.

 

Le altre specie hanno diverse esigenze di terreno e clima; spesso le americane preferiscono suolo acido o neutro, in qualche caso anche con buona tolleranza al calcare, a volte con ottima resistenza a suolo e clima umido.

Per la Vitis vinifera la pratica dell'innesto su ibridi di selvatico americano rende comunque possibile la coltivazione su terreni a diversa condizione di pH.

I valori indicativi per i parametri pedologici sono i seguenti:

PARAMETRI PEDOLOGICI VALORI DI RIFERIMENTO

Tessitura

(ideale terreni medio impasto o sabbiosi)

Argilla max 20-30%

Sabbioso 50%-80%

Limo 30-50 %

Falda Profondità

Medio impasto 0,8 m

Sabbioso 0,5 m

pH

5,5 - 8

Calcare totale e attivo

Calcare totale: max 20%

Calcare attivo: max15%

Sostanza organica

2,6-4%

Salinità

Max. 1,2 g di NaCl per kg di terra

Concimazione d’impianto

Tale operazione deve tendere ad aumentare la naturale fertilità del terreno fino a livelli sufficienti alla normale durata del vigneto, prevedendo eventuali integrazioni annuali durante la concimazione di produzione. Per tale motivo non si procederà, all’impianto, con concimazioni azotate, provvedendo invece ad un buon apporto di sostanza organica (letame o ACM) per migliorare la struttura e la capacità idrica del suolo. Si dovrà tendere ad un livello del 1,5 – 2 % di sostanza organica e, soprattutto nei terreni argillosi, ad un livello di 20 – 50 ppm di anidride fosforica assimilabile (Olsen) e di 140 – 200 ppm di ossido di potassio scambiabile.

Sistemazioni superficiali

Si consiglia di porre attenzione alle seguenti considerazioni:

Aree pianeggianti (pendenza < 5%)

  • Obiettivo: prevenire il ristagno, consentire un’adeguata meccanizzazione.
  • Criteri di scelta: permeabilità del suolo, altezza della falda.
  • Tecnica da adottare: livellamento superficiale, realizzazione di un’adeguata affossatura e/o rete drenante.

Aree declivi (pendenza > 5%)

  • Obiettivo: proteggere il suolo dall’erosione, contrastare le situazioni di dissesto idrogeologico, consentire un’adeguata meccanizzazione.
  • Criteri di scelta: permeabilità del suolo, pendenza del versante, rischio di movimenti franosi.
  • Tecnica da adottare: con pendenze fino al 7% sono possibili le sistemazioni in traverso; con pendenza > 7 % sistemazioni a rittochino con fosse livellari; per sistemazioni di elevata pendenza si consigliano ciglionamenti a terrazze raccordate.

Lavorazioni profonde

In linea di massima devono essere effettuate con attrezzi discissori a profondità elevate, al fine di eliminare eventuali orizzonti limitanti la crescita dell’apparato radicale e lo sgrondo delle acque.

La distanza tra i “tagli” è in funzione delle caratteristiche del suolo, 40 – 50 cm per i terreni argillosi e non più di 80 cm per tutti gli altri.

Va evitato l’uso di aratri da scasso per non danneggiare la stabilità della pendice o riportare in superficie orizzonti di accumulo dannosi alla vite (es. strati di calcare). Il loro impiego va limitato a quei casi in cui occorre mescolare strati a diversa tessitura per migliorare quella risultante.

La scelta varietale

Va effettuata sulla base di criteri normativi, agronomici ed economici secondo l’ordine di priorità indicato.

Criteri normativi: per ogni provincia esistono elenchi di varietà raccomandate e autorizzate;

altre varietà non indicate in tali elenchi non possono essere utilizzate.

 

Criteri agronomici: il principale elemento di integrazione ambientale si ottiene abbinando le varietà legalmente utilizzabili alle potenzialità climatiche e pedologiche del luogo di coltivazione.

Per la scelta del portinnesto è invece più importante verificare le caratteristiche del suolo.

 

Criteri economici: nel rispetto degli obiettivi economici di questo disciplinare, la scelta varietale, soddisfatti entrambi i vincoli precedenti, va riferita alla richiesta di mercato del prodotto trasformato per il medio-lungo periodo; questa va verificata con le strutture di trasformazione, alla luce delle potenzialità enologiche dei vitigni.

Nel caso di impianti accorpati ed interessanti vaste superfici, è buona norma, là dove esistono, utilizzare più cloni della stessa varietà per salvaguardare la variabilità della popolazione e la qualità della produzione.

Per la legge italiana i materiali di moltiplicazione relativi alla vite si dividono in:

  • Materiale di base: destinato esclusivamente ai vivaisti che intendono costituire vigneti di piante madri categoria certificato (identificato da un cartellino bianco);
  • Materiale certificato: è il materiale derivante dal base, con le migliori garanzie qualitative dal punto di vista genetico e sanitario (identificato da un cartellino azzurro);
  • Materiale standard: è il materiale buono dal punto di vista tecnico e per identità e purezza varietale, ma che non offre garanzie in termini genetici e sanitari (identificato dal cartellino arancione). E’ molto importante effettuare il nuovo impianto con materiale sano. Il materiale di moltiplicazione deve essere sempre accompagnato dal passaporto delle piante.

I vitigni sono suddivisi in uve da vino, uve da tavola ed uve da essiccare che rivestono una minore importanza. Le varietà da vino sono molto numerose e, per il loro utilizzo, in genere si fa riferimento ai disciplinari di produzione, per esempio D.O.C. (denominazione di origine controllata) ed I.G.T. (indicazione geografica tipica), ognuno dei quali interessa diverse zone, differenziandosi dagli altri; inoltre abbiamo uve da vino rosso, uve da vino bianco ed uve bianche adatte per gli spumanti.

 

Le cultivar da vino rosso più conosciute sono: Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot (di origine francese però sono coltivate nelle più importanti aree viticole), Barbera, Dolcetto, Nebbiolo (diffuse soprattutto in Piemonte), Sangiovese, Montepulciano (caratteristici del centro Italia), i Lambruschi (tipici principalmente dell’Emilia), Canaiolo, Aleatico (diffusi in Toscana), Gaglioppo (vitigno tipico calabrese), Primitivo (coltivato soprattutto in provincia di Taranto), Calabrese e i Nerelli (tipiche varietà siciliane).

 

I vitigni da vino bianco più importanti sono: Chardonnay, i Pinots (varietà francesi, ormai coltivate a livello internazionale), Riesling (tedesco, molto diffuso al nord Italia), Tokai friulano (coltivato in Friuli ed in Veneto), Verdicchio (vitigno marchigiano), Catarrato bianco (varietà siciliana), i Moscati, le Malvasie ed i Trebbiani (cultivar presenti in tutta Italia, ma differiscono da zona a zona).
Vitigni bianchi come lo Chardonnay, i Pinots (bianco, grigio e nero), i Moscati, le Malvasie, i Trebbiani, il Riesling ed il Verdicchio si adattano alla spumantizzazione.
La coltivazione delleuve da tavola può essere attuata, con risultati soddisfacenti, solo in particolari condizioni che si ritrovano in aree più ristrette rispetto alle uve da vino. Rivestono molto interesse gli andamenti primaverile, estivo ed autunnale in quanto, nel primo caso, l’allegagione deve essere uniforme senza acinellatura (le bacche prive di semi rimangono piccole a maturazione), nella stagione estiva le uve a maturazione precoci vanno raccolte tempestivamente ed in autunno non si devono sviluppare marciumi sulle uve tardive. Condizioni ideali si hanno in zone a clima caldo e asciutto e con una buona ma non eccessiva disponibilità idrica nel suolo, sia naturale che per irrigazione.

 

Fra gli elementi che rivestono importanza per le uve da tavola vi sono le caratteristiche del grappolo (deve essere spargolo, quindi ramificato e poco compatto, regolare e piuttosto grosso) e in particolare dell’acino, che deve avere una grossa dimensione, con polpa croccante, di buon sapore e profumo, con buccia sottile, ma consistente per resistere ai trasporti. Negli ultimi 15-20 anni il mercato ha richiesto uve da tavola senza vinaccioli ma con buone qualità gustative; tuttora, mediante il miglioramento genetico, si cercano di ottenere uve apirene (senza semi) dotate di serbevolezza e di un buon sapore.
I vitigni da tavola più comuni sono: Italia, Regina dei Vigneti, Victoria, Red Globe, Black Magic, Black Pearl.

Le cultivar apirene principali sono:

  • Centennial Seedless, Thompson Seedless, Princess, Sophia, Superior seedless, Early Sweet, Arra, Afrodite, Dawn Seedless, Early Gold ed Imperatrice (Uve Bianche).
  • Sugrafourteen, Scarlotta Seedless, Red Flame, Ralli Seedless, Crimson Seedless, Apulia Rose, Pipeline (Uve Rosse).
  • Autumn Royal, Perlon, Sugrathirteen, Summer Royal, Vitroblack, Midnight Beauty (Uve Nere).

La coltivazione di uve da essiccare, dal punto di vista economico, è realizzabile soltanto in climi a estate ed inizio autunno asciutti. Per ottenere una produzione di qualità sono preferibili uve apirene, a maturazione precoce, con acini che rimangono morbidi e non appiccicosi; le varietà utilizzate per l’essiccazione sono Sultanina, Corinto e Zibibbo.
I vitigni possono essere distinti tra loro grazie all’ampelografia, scienza che si occupa della descrizione morfologica delle specie e delle varietà di vite, inoltre studia le caratteristiche fenologiche, le attitudini colturali e tecnologiche (composizione delle bacche, zuccheri, aromi, tannini, sostanze coloranti ecc.).

A causa del grande numero di cultivar disponibili, forse oltre 5000, sono state compilate delle vere e proprie schede ampelografiche; per differenziare tra loro le varietà vengono presi in considerazione i giovani germogli (caratteristiche dell’apice), le foglie (per esempio colore, numero di lobi, forma del lembo, presenza di peli sulla pagina inferiore), il sesso dei fiori, l’acino (forma e dimensione) ed il grappolo (taglia e compattezza).

La scelta del portinnesto deve basarsi sulla valutazione delle seguenti caratteristiche:

  • affinità d’innesto: è il punto più importante sul quale verte la buona riuscita dell'innesto. La mancanza di affinità d'innesto viene detta disaffinità d'innesto: tale fenomeno non è specifico della vite ma si manifesta in ogni forma di innesto.
  • resistenza al calcare attivo e al ristagno idrico: la presenza di calcare attivo nel terreno causa effetti negativi sull'assimilazione degli elementi nutritivi e porta alla formazione di clorosi, così come il ristagno idrico; l'utilizzo di portinnesti resistenti a calcare attivo e ristagno idrico può ovviare a questo problema;
  • resistenza alla siccità: la viticoltura di qualità si realizza in terreni che, per cause diverse, risultano essere carenti dal punto di vista idrico e sovente non esiste la possibilità di effettuare apporti irrigui. La buona resistenza di un portinnesto alla siccità è legata sia allo sviluppo del suo apparato radicale sia alla maggiore o minore capacità di assorbimento dell’acqua in ambienti siccitosi;
  • vigore indotto: il portinnesto nella moderna viticoltura svolge un ruolo determinante nel regolare lo sviluppo della pianta, pertanto è sempre buona regola quella di utilizzare portinnesti deboli con varietà vigorose e viceversa adottare portinnesti più vigorosi con varietà deboli.
  • sensibilità alla stanchezza del terreno: sovente la necessità di reimpianto immediato non permette di attuare tutte quelle pratiche agronomiche necessarie a favorire il riposo del terreno innescando in questo modo quei fenomeni che vanno sotto il nome di stanchezza del terreno (sarebbe, infatti, consigliabile, prima di un reimpianto, un adeguato periodo di riposo del terreno, mediante la coltivazione di piante erbacee come graminacee).

Nel caso di messa a dimora su “ristoppio” può essere importante anche la scelta del portinnesto: ad esempio, è opportuno utilizzare portinnesti relativamente vigorosi.

I portinnesti

vanno individuati, come ricordato, in base alla natura del terreno, cercando di risolvere con la loro scelta anche eventuali problemi nutrizionali o di eccezionale vigoria per creare un perfetto equilibrio vegeto-produttivo con il vitigno, la forma di allevamento ed il sesto d’impianto prescelti, condizione necessaria a determinare un buon risultato dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Per effettuare una corretta scelta il fattore terreno va studiato in rapporto alla tessitura, al rischio di siccità e alla presenza di fattori limitanti (per esempio calcare).

Tipologie dei portainnesti

Ogni portinnesto viene identificato tramite un nome;

prendendo come esempio il portinnesto Berlandieri x Riparia Kober 5BB:

  • il primo nome indica la vite portaseme (V. berlandieri);
  • il secondo nome indica la vite impollinante (V. riparia);
  • il segno che li divide: se è una “X”, indica che l’ibridazione è stata fatta artificialmente; se invece è una linea, indica che l’ibridazione è avvenuta naturalmente;
  • segue il nome del costitutore, cioè di colui che ha ottenuto l’ibrido (Kober in questo caso);
  • infine, il numero seguito dalle lettere indica l’ibrido e corrisponde all’individuazione della parcella nel campo sperimentale.


In Italia sono ammessi alla coltura 31 portainnesti diversi. Di questi solo 6 rappresentano l’80% della superficie coltivata a piante madri di portinnesti (www.iissmussomeli.it):

  • Berlandieri x Riparia Kober 5BB (25%);
  • Berlandieri x Rupestris 1103 Paulsen (20%), molto utilizzato in Sicilia;
  • Berlandieri x Riparia SO4 (14%);
  • Berlandieri x Rupestris 140 Ruggeri (12%) molto utilizzato in Sicilia;
  • Berlandieri x Rupestris 779 Paulsen (5%);
  • Berlandieri x Riparia 420 A (4%).

Di seguito si propone una descrizione di alcuni portinnesti riportata sul sito www.vivairauscedo.com:

 

Gruppo Berlandieri x Riparia

  • Kober 5 BB: adatto ad ambienti freschi, con terreni a diverso impasto, da pesanti a leggeri, o anche ricchi di scheletro purché non eccessivamente calcarei. Data la sua vigoria è bene evitare di utilizzarlo in terreni troppo fertili. Cloni omologati: Kober 5 BB VCR 102, VCR 423, VCR 424.
  • S0 4: portinnesto di media vigoria, può essere opportunamente usato anche in terreni pesanti purché non asfittici od eccessivamente clorosanti. È sconsigliato il suo utilizzo per varietà sensibili al disseccamento del rachide e in terreni che presentano un rapporto squilibrato tra magnesio, potassio e calcio. Cloni omologati: S0 4 VCR 105, ISV-VCR 4, ISV-VCR 6.
  • 157.11: è un ottimo portainnesto che allo stato selvatico impressiona favorevolmente per l'aspetto sano e rigoglioso del suo fogliame, conferisce alle piante uno sviluppo continuo e una buona precocità. E' di facile adattamento, va bene anche nei terreni compatti, umidi, non però in quelli ciottolosi. E' consigliabile per i terreni freschi e profondi di pianura preferibilmente di medio impasto ma anche tendenzialmente argillosi e compatti dotati, comunque, di una buona fertilità. Resiste mediamente alla siccità ma debolmente agli eccessi idrici, ha una discreta resistenza alla clorosi e la sua soglia di calcare attivo è pari al 15%. Non va bene nei terreni troppo sabbiosi o ciottolosi o asciutti ed, inoltre, risente molto degli effetti della stanchezza del terreno. Ha una buona affinità di innesto con la maggior parte delle cultivar di uva da vino o da tavola.
  • 420A: portinnesto di modesta vigoria adatto ad ambienti asciutti e terreni pesanti, anche leggermente clorosanti. Lo sviluppo iniziale è lento soprattutto in terreni freddi; successivamente induce un ottimo equilibrio vegeto-produttivo. Cloni omologati: 420A VCR 103.
  • 161.49: vigoria limitata e discreta resistenza al calcare ne consentono l’utilizzazione in diversi ambienti, specialmente per impianti a media e alta densità. Influenza positivamente la qualità dei vini, bianchi in particolare. Cloni omologati: 161.49 VCR 112, VCR 123.
  • 5 C: di caratteristiche abbastanza simili al Kober 5 BB, si differenzia per un migliore adattamento ai terreni poveri.
  • 34 EM: portainnesto di discreta vigoria, conferisce alle piante uno sviluppo ridotto e conclude in breve tempo il ciclo vegetativo-produttivo, favorendo così la precocità di maturazione e l'ottenimento di produzioni di qualità con elevato contenuto di zuccheri ed aromi, infatti è utilizzato soprattutto quale portainnesto per le uve da tavola precoci. Per la vigoria contenuta, inoltre, è indicato per vigneti con elevata densità d'impianto (controspalliere). Rispetto ai portainnesti più vigorosi è meno longevo. Preferisce terreni di medio impasto, tendente allo sciolto, profondi e freschi, però ha una buona resistenza nei terreni clorosanti e pedologicamente difficili derivanti dal disfacimento di rocce calcaree o tufacee. La sua soglia di resistenza al calcare attivo è pari al 20%. Scarsa, invece, è la resistenza alla siccità, all'umidità e alla compattezza del terreno. Ha una buona affinità d'innesto con la maggior parte delle cultivar di uva da vino e da tavola.

Gruppo Berlandieri x Rupestris

  • 1103 P: portinnesto vigoroso, elastico, presenta un elevato grado di affinità con tutte le varietà. Resiste alla siccità e si adatta bene a quasi tutti i terreni, anche a quelli argilloso-calcarei. Cloni omologati: 1103 P VCR 107, VCR 119, VCR 498, VCR 501.
  • 110 R: adatto ad ambienti difficili e per terreni non eccessivamente dotati in calcare, poveri ed asciutti. È un tipico portinnesto per ambienti caldi e siccitosi. Cloni omologati: 110 R VCR 114, VCR 418, VCR 424.
  • 140 Ru: molto vigoroso, presenta un’elevata resistenza alla siccità e al calcare. Non sempre riesce ad indurre nell’europeo il giusto equilibrio vegeto-produttivo con conseguente scadimento del livello qualitativo del prodotto uvicolo. Cloni omologati: 140 Ru VCR 120.
  • 775 P: vigoroso, adatto ai terreni non eccessivamente pesanti anche se secchi o mediamente calcarei.
  • 779 P: molto vigoroso, rustico, si adatta ai terreni magri e difficili. Presenta un’ottima resistenza alla siccità mentre si adatta meno del 1103 P ai terreni calcarei. Attualmente è poco utilizzato per la sua non ottimale compatibilità con molte varietà.
  • Rupestris Du Lot: presenta buona vigoria e discreta resistenza al calcare attivo. Resiste alla siccità ma è bene non utilizzarlo in terreni troppo compatti.
  • Cloni omologati:Rupestris Du Lot VCR 109.

Gruppo Riparia x Rupestris

  • 101.14: induce una maggiore precocità nella maturazione, grazie al suo corto ciclo vegetativo e alla debole vigoria. Adatto ad ambienti freschi, umidi e non calcarei.
  • 3309 C: di debole vigoria, si adatta bene ai terreni non clorosanti di medio impasto e non secchi. Il debole vigore permette di ben utilizzarlo in impianti fitti atti a produzioni di elevata qualità.
  • Schwarzmann: di sufficiente vigoria, si adatta anche a terreni argillosi ed asciutti. È più rustico del 3309 C e del 101.14. Cloni omologati: Schwarzmann VCR 122.

Gruppo Vinifera x Berlandieri

  • 196.17: presenta un’ottima vigoria e una bassa resistenza al calcare attivo. Si adatta bene ai terreni acidi, secchi, ciottolosi, magri, anche sabbiosi.
  • Gravesac: presenta una buona vigoria, debole resistenza al calcare ed ottimo adattamento ai terreni acidi.
  • 41 B: presenta buona vigoria e elevata resistenza al calcare; è utilizzabile in ambienti caldi e clorosanti oppure anche in zone settentrionali purché non in presenza di terreni freddi, asfittici e pesanti. Cloni omologati: 41 B VCR 117.
  • Fercal: presenta un’elevata resistenza al calcare, superiore a quella del 41 B e del 140Ru. Vigoroso, sensibile alla carenza magnesiaca e utilizzabile in terreni dove la presenza in calcare attivo è difficilmente tollerabile da altri portinnesti.

Tolleranza di alcuni portinnesti della vite alla clorosi da calcare

PORTINNESTI CALCARE ATTIVO (%) GIUDIZIO

Riparia Glorie – Gravesac - 196.17

4-6

Dotato

K 5BB - 101.14 - 44 – 53 - 3309 –Schwarzmann

9 - 11

Ricco

157.11 - 99R - 110R - SO4 – 161.49 - 775 P –5 C

12-15

Molto ricco

779 P - 1103P - 420A - 34EM – 41 B - 333 EM -

16-20

Elevato

140 Ru - Fercal

>20

Molto Elevato

     

Resistenza alla siccità di diversi portinnesti della vite

MOLTO SCARSA SCARSA MEDIA BUONA ELEVATA

3306

34 EM

161-49

99 R

140 Ru

101-14

8B

SO4

31 R

1103P

Schwarzmann

1202C

41B

1045 P

779 P

Riparia

3309

333EM

K 5BB

110 R

     

157-11

44 – 53

     

Rup. Du Lot

17 –37

     

420 A

775 P

       

1447 P

Per arrivare al risultato ottimale desiderato, applicando le tecniche ed i criteri della produzione integrata, secondo le attuali conoscenze ed esperienze, sarebbe meglio poter progettare fin dall’inizio tutte le possibili variabili che interagiscono tra loro, al fine di giungere positivamente all’obiettivo individuato. Infatti, agire su un vigneto che era stato progettato con altri criteri e privilegiando altri scopi (soprattutto la produttività) per ricondurlo nell’alveo della produzione integrata, non risulta un’opera semplice. Premesso questo, è possibile comunque, attraverso l’introduzione e l’ottimizzazione di alcune tecniche colturali opportunamente integrate tra loro, cercare di avvicinarsi all’obiettivo. Innanzitutto si dovrà incentivare la modifica e la trasformazione di alcuni sistemi di allevamento.

 

Ad esempio l’Archetto o il Capovolto, delle aree collinari, dovrebbe essere modificato in un Guyot semplice. Nelle aree collinari, per i vitigni rossi di pregio, il Guyot dovrebbe, dove la fertilità basale lo permette, essere trasformato in Cordone speronato.

 

Le forme di coltivazione più adatte per l'uva da tavola sono la pergola, la spalliera o la contro spalliera.

Forme di allevamento e densità

La densità di impianto va sempre correlata alla forma di allevamento e alla fertilità ambientale così da puntare su densità maggiori in zone meno fertili (5-6.000 piante/ha) e su densità conseguenti in zone fertili nelle quali occorre comunque adottare tecniche agronomiche per contenere la vigoria della pianta. La forma di allevamento deve consentire una adeguata distribuzione spaziale delle gemme ed esprimere la potenzialità produttiva delle piante. Tuttavia quest’ultima va contenuta quando eccessiva.

 

Deve inoltre permettere la captazione dell’energia radiante, rapportandola al massimo di superficie fogliare direttamente esposta. Questa condizione rappresenta un fattore di qualità e di sanità della pianta per quello che riguarda l’apparato fogliare. L’architettura della chioma dovrebbe consentire di non esporre direttamente i grappoli alla luce per non danneggiare la sintesi dei polifenoli e quindi la qualità dell’uva per le varietà “rosse”, e per consentire buoni livelli aromatici e di acidità per le “bianche”. Pur nel rispetto assoluto della qualità del prodotto finale, risulta sempre più impellente la diminuzione dei costi di produzione attraverso una adeguata meccanizzazione.

 

Nella scelta della forma di allevamento si deve perciò tenere presente, fin dalla progettazione, la meccanizzazione delle varie operazioni colturali. Questa fase deve essere guidata correttamente, in quanto squilibri di qualsiasi natura si ripercuoteranno poi nella successiva fase di produzione.

ALLEVAMENTO E DENSITA’ DI IMPIANTO: PROSPETTO RIASSUNTIVO

Sesto d’impianto consigliato (m) a seconda della forma di allevamento nelle aree individuate

GDC

Casarsa

Sylvoz

Guyot semplice

Capovolto o alla cappuccina

Cordone speronato

Cort.sempl./casarsa

Alberello

Pergola trentina

Tendone

Sistema a raggi o Bellussi

m 4,0-4,2 x 1,0-1,2

m 3,3-3,5 x 1,2-1,6

m 3,0-3,5 x 2,0-2,5

m 2,0-2,5 x 0,8-1,2

m 2,0-3,0 x 1,5-2,0

m 2,0-2,5 x 0,8-1,2

m 2,7-3,0 x 1,0-1,3

m 1,0-2,0 x 1,0-1,3

m 3,0-4,0 x 0,6-1,3

m 2,5-3,0 x 1,8-2,3

m 6,0-8,0 x 3,0-5,0

2.000 – 2.500 piante/ha

1.800 – 2.500 piante/ha

1.200 – 1.700 piante/ha

3.300 – 6.300 piante/ha

1.700 – 3.300 piante/ha

3.300 – 6.300 piante/ha

2.500 – 3.700 piante/ha

3.800 – 10.000 piante/ha

1.900 – 5.500 piante/ha

1.300 – 2.200 piante/ha

250 – 600 piante/ha

Si sconsiglia di scostarsi di un +/- 20% dai livelli massimi e minimi indicati. Le distanze minori in alta collina o in suoli poveri

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Vedi anche negli allegati: Forme di allevamento della vite

Potatura verde della chioma

Viene effettuata nel periodo primaverile estivo come potatura verde in quanto si svolge prevalentemente sugli organi verdi della vite. Interessa tutte le porzioni vegetative fino a prima della vendemmia con lo scopo di mantenere le dimensioni della chioma, assicurare alla vite non solo una superficie fogliare ampia, ma funzionale, evitare condizioni microclimatiche sfavorevoli intorno ai grappoli, migliorare la penetrazione dei trattamenti e la circolazione delle macchine.

Le operazioni di potatura verde sono:

  • la spollonatura consiste nell’eliminazione dei polloni, cioè dei germogli freschi che si sviluppano dal legno vecchio sul fusto della vite da gemme latenti o da vecchie porzioni nodali. L’utilità di tale operazione permette di eliminare organi che altrimenti rendevano fitta la chioma prendendo sopravvento.
  • La scacchiatura consiste nella soppressione dei germogli che pur uscendo dal capo a frutto sono sterili e non servono per la potatura dell’anno seguente, soprattutto nelle viti potate lunghe.
    Lo scopo di questa operazione è quello di evitare che la chioma si infittisca, va effettuata il più presto possibile (a germogliamento ancora in corso) quando i germogli sono ancora teneri. Nei casi di viti troppo deboli che presentano tutti i germogli fertili, per non indebolirle troppo, si elimina qualche germoglio uvifero; viceversa sempre nelle viti deboli con germogli del capo a frutto sterili, vengono eliminati parte di essi per favorire lo sviluppo dei germogli dello sperone e la buona formazione delle loro gemme. Per aiutare la crescita delle barbatelle sono importanti i sostegni.
  • La sfemminellatura consiste nell’eliminazione di nuovi germogli originatisi da gemme pronte, cioè nella soppressione totale delle femminelle.
    Queste tre operazioni si effettuano, al più tardi, insieme alla legatura dei germogli, che è svolta per indirizzarli verso l’alto e convogliarli tra le coppie di fili con lo scopo di gestire la forma di allevamento a spalliera, permettere il passaggio delle macchine operatrici, non compromettere l’efficienza dei trattamenti fitosanitari ed evitare ombreggiamenti con ripercussioni negative sulla fotosintesi. Una volta convogliati i germogli nei fili di contenimento si procede alla eventuale legatura manuale o meccanica ai tutori in lamiera nervata; questa operazione si attua con tralci lunghi circa 1 m.
  • La cimatura è una tecnica che permette l’asportazione di un tratto più o meno lungo dei germogli, siano esse femminelle basali che apici vegetativi. Questa pratica ha lo scopo di ridurre la vegetazione e rinnovare la parete fogliare, ottenendo l’emissione di nuove femminelle con la formazione di foglie fotosinteticamente attive nel periodo di maturazione dei grappoli, inoltre riduce l’affastellamento della vegetazione a livello dei grappoli, tende a limitare l’incidenza della muffa grigia. L’intervento va eseguito entro la fine di giugno, in modo da arrestare l’allungamento del giovane germoglio che avviene a spese delle sostanze di riserva, quindi la cimatura diminuisce il consumo di tali sostanze a vantaggio della produzione, inoltre, deviando l’afflusso di linfa dall’apice ai grappolini, ne migliora l’ingrossamento.
  • La defogliazione consiste nel sopprimere sui germogli fruttiferi un certo numero di foglie allo scopo di esporre meglio i grappoli al sole. E’ una pratica che si svolge in prevendemmia per le chiome troppo dense, sul tratto basale della fascia produttiva, per arieggiare ed esporre a radiazione indiretta i grappoli in modo da provocarne un aumento degli zuccheri e della colorazione grazie alla formazione degli antociani; ciò provoca un calo dell’acidità e un migliore stato sanitario delle uve. Le foglie basali eliminate dai singoli tralci durante l’ultimo periodo che precede la vendemmia non svolgono più un ruolo attivo nei riguardi della maturazione dell’uva e perciò possono essere soppresse; infatti quelle più vecchie di 120 giorni non contribuiscono più all’accumulo degli zuccheri.
  • Il diradamento dei grappoli è una pratica agronomica che prevede l’eliminazione di una quota di grappoli, è eseguita solo manualmente, di solito in invaiatura, avendo cura di eliminare i grappoli più lontani del tralcio. Questa operazione è consigliata per vitigni a maturazione tardiva, a bacca grossa e molto produttivi, è realizzata su vigneti finalizzati a produzioni di pregio e su uve da tavola.
    I migliori risultati si conseguono nelle annate con andamento climatico avverso, che comporta ritardi nella fase di fioritura, quindi anche dell’allegagione e dell’invaiatura, che ostacolano la fotosintesi, la traslocazione e l’accumulo di carboidrati nel grappolo, consentendo limitate probabilità di una perfetta maturazione dell’uva. 

Altre operazioni di potatura verde sono la pettinatura, eseguita a fine giugno (tra la fioritura e l’allegagione) su sistemi di allevamento a G.D.C., che consiste nel disporre verso il basso i germogli lunghi 70-80 cm al fine di evitare affastellamenti di vegetazione, e la calatura mediante la quale si dispongono i grappoli verso il basso sulle forme a tendone.

Potatura di allevamento

Deve essere orientata a formare la struttura della pianta nel minor tempo possibile senza creare squilibri vegetativi. A partire dalla messa a dimora della barbatella fino al completamento della forma desiderata (2-4 anni) si esegue la potatura di allevamento, avente lo scopo di assicurare il più rapido sviluppo della struttura scheletrica della vite in rapporto al sistema prescelto ed ottenere la più rapida messa a frutto delle giovani piante; non si effettuano solo tagli tramite la pinza multifunzione, ma anche legature e posizionamenti. Durante i primi anni di vita le piantine necessitano di una massima superficie fogliare per ricostituire le riserve di carboidrati, di cimature per stimolare maggiormente la crescita e devono essere private di eventuali grappoli che sottraggono sostanze nutritive all’attività vegetativa.
Una volta ultimata la forma di allevamento prescelta viene svolta la potatura di produzione fino al termine della vita produttiva del vigneto.

 

La potatura è lo strumento più importante per regolare la produzione e mantenere il necessario equilibrio tra produttività e rinnovo vegetativo. Essa influisce notevolmente sulla qualità della produzione e deve essere strettamente collegata ad una razionale concimazione e gestione del suolo.

 

La tendenza deve essere quella di ridurre il numero di gemme per pianta, al fine di raggiungere sempre la gradazione minima prevista dai disciplinari di produzione dei vini DOC e DOCG o comunque gli 8,5 gradi alcool potenziali (minimo di legge) per altre tipologie di vino.

Potatura invernale

Con questa operazione viene asportata una quota ingente (80-95%) del legno prodotto nell’anno ed è opinione comune che ciò abbia un effetto benefico sulla vite e sulla sua capacità di sviluppo. Questa operazione colturale è la tecnica più economica per abbassare il numero di grappoli presenti su ciascuna pianta, migliorare la qualità delle uve, limitare la produzione rendendola regolare e costante, favorire una rapida messa a frutto, aumentare le dimensioni dei grappoli, ridurre la necessità del diradamento per il controllo della produzione. La potatura, qualora la produttività sia controllata unicamente in questo modo, deve lasciare un numero di gemme sufficiente a produrre la quantità di grappoli che la vite è in grado di portare a piena maturazione.
La potatura invernale, detta anche potatura secca, eseguita annualmente durante il periodo di riposo vegetativo delle viti, ha i seguenti scopi:

  • assicurare il mantenimento della forma e delle dimensioni delle singole viti per agevolare tutte le operazioni colturali,
  • regolare il carico di gemme per ceppo,
  • scegliere le migliori gemme in rapporto alla loro capacità produttiva,
  • distribuire le gemme in maniera ottimale su ciascuna vite,
  • ottenere la vegetazione di rinnovo nei punti desiderati,
  • raggiungimento di equilibrio tra fase produttiva e vegetativa, della qualità desiderata e la lignificazione tralci.

POTATURA: PROSPETTO RIASSUNTIVO

Carichi di gemme consigliati a seconda della forma di allevamento nelle aree individuate (N. gemme/m) (*)

Guyot capovolto

Guyot

Cord. Speronato

Cord. Semplice

Sylvoz-Casarsa

GDC

Pergola

Tendone

15-20

12-15

10-14

10-15

16-22

12-16

15-25

25-40

(*) per gemme/m si intende il numero di gemme da lasciare per ogni metro di cordone o tralcio rinnovabile

Si sconsiglia un carico di gemme/ha o gemme/ceppo superiore al 20% di quello indicato nella tabella.


Altre considerazioni utili utilizzate per valutare le condizioni di sviluppo dei tralci da utilizzare in potatura sono: adeguato livello di lignificazione, tralci con lunghezza internodo tipica della varietà, diametro medio del tralcio, posizione del tralcio idonea.
La potatura invernale va eseguita nel periodo che intercorre tra la caduta delle foglie e l’inizio della ripresa vegetativa; è quindi un intervento che può essere eseguito in un ampio arco di tempo, ma da personale qualificato. Considerando che potature precoci inducono un leggero anticipo del germogliamento con il problema delle gelate tardive, mentre potature tardive lo ritardano, è buona prassi agronomica potare prima i vitigni tardivi e poi quelli precoci.
Alcuni sistemi di allevamento hanno formazioni produttive che non superano le 3-4 gemme (speroni), quindi si tratta di una potatura corta, mentre nelle forme in cui il tralcio è raccorciato a 7-8 gemme si parla di potatura lunga; nel caso di cultivar dotate di una bassa fertilità delle gemme basali si adotta l’ultima modalità citata. Le varietà da tavola necessitano di una potatura molto lunga.

 

Di seguito viene brevemente illustrata la potatura di produzione del guyot e del cordone speronato che sono attualmente considerate come forme di allevamento più importanti.
Nel guyot si svolge una potatura mista, vista la presenza di uno sperone e di un capo a frutto.
Essa è effettuata sopprimendo il vecchio capo a frutto (taglio del passato), raccorciando il più alto dei tralci del vecchio sperone (taglio del presente a 7-8 gemme) e speronando a 2 gemme il più basso (taglio del futuro). Nei casi di viti che si innalzano in modo eccessivo si cerca di riabbassarle con un eventuale sarmento che spunta nella parte inferiore del ceppo.
Questo sistema fornisce produzioni soddisfacenti anche con vitigni a fertilità basale molto scarsa e relativa semplicità dell’intervento di potatura. Per contro, può incorrere in squilibri vegeto-produttivi legati a particolari posizionamenti del capo a frutto ed in difficoltà nell’adottare potatura meccanica (selezione, posizionamento e legatura); inoltre la mancanza delle riserve contenute nei cordoni permanenti può causare problemi in annate poco produttive e problemi di sovrapproduzione per forme espanse in anni favorevoli.
Nel cordone speronato vengono mantenuti speroni di 2-3 nodi su branche permanenti, quindi parliamo di potatura corta; per poterla applicare è necessaria una sufficiente fertilità delle gemme basali.
Dei due tralci dello sperone dell’anno precedente, il migliore e possibilmente il più basso si sperona a 2-3 gemme, mentre il superiore va soppresso. Un inconveniente riscontrabile con il tempo è la formazione di branche secondarie, perché gli speroni si allontanano a poco a poco dal cordone. In tal caso si cerca di ridurre la vegetazione, utilizzando qualche tralcio che spunta dal cordone stesso, in prossimità della branca da eliminare.
Tra i vantaggi, a parità di carico gemmario, il cordone speronato regolarizza il germogliamento, migliora l’uniformità di vegetazione, consente una maturazione più omogenea, permette di localizzare la fascia produttiva e vegetativa in aree definite della chioma, richiede tempi più ridotti di potatura rispetto a quella lunga; su questa forma di allevamento è eseguibile la potatura meccanica (macchine dotate di organi di taglio che speronano i tralci a 2-3 gemme mentre avanzano) che richiede 3-5 ore ad ettaro, abbassando i costi rispetto a quella manuale che si puo' fare con la pinza multifunzione

Le tecniche di gestione del suolo mirano al mantenimento di ottimali condizioni fisiche, chimiche e microbiologiche del terreno, che sono i presupposti fondamentali per uno sviluppo equilibrato della vite.

 

Tali tecniche variano in funzione delle caratteristiche pedologiche e climatiche dell’area di coltivazione nonché in parte in funzione del tipo di allevamento vitigno e del portinnesto adottati.

 

Fatta questa premessa, la tendenza, relativamente alla gestione del suolo, deve essere quella di introdurre la pratica dell’inerbimento (naturale o artificiale) fra le file in tutte le condizioni in cui esso sia giustificabile ed attuabile (terreni declivi per evitare fenomeni erosivi, terreni argillosi di difficile sgrondo, terreni poveri di sostanza organica).

 

L’inerbimento artificiale (consigliato nei nuovi vigneti fin dalla fase di allevamento) andrà attuato in quelle aree in cui non si riesce a sviluppare un prato naturale composto da flora poco competitiva con l’apparato radicale della vite.

 

È comunque obbligatorio l’inerbimento autunnale ed invernale dell’interfila, ad eccezione dei primi quattro anni nei nuovi impianti.

 

Il diserbo chimico è ammesso solo lungo la fila con i prodotti indicati nelle Norme tecniche di difesa delle colture e controllo delle infestanti, fanno eccezione i vigneti terrazzati della Valtellina dove invece è possibile diserbare l’intera superficie sempre secondo le indicazioni fornite nelle norme tecniche citate.

 

In presenza di flora spontanea in fiore, il cotico erboso deve essere sfalciato prima di eseguire i trattamenti chimici contro i fitofagi.

 

In aree con buona piovosità ed in terreni argillosi o franco argillosi si consiglia l’inerbimento artificiale fin dal primo anno, abbinandolo alla pacciamatura sulla fila o ai diserbanti consentiti. Nel periodo primaverile/estivo, in aree meno piovose è possibile effettuare lavorazioni meccaniche superficiali, oppure l’inerbimento naturale o artificiale a filari alterni. A partire dal terzo anno di impianto, si regolerà la larghezza della fascia lavorata o diserbata da 60 a 120 cm, a seconda della distanza tra le file, in modo da consentire il passaggio dei mezzi meccanici sulla zona dell’interfilare inerbita.

L'irrigazione è molto importante: per ottenere acini grossi e polposi occorre innaffiare in quantità crescenti a partire dalla fioritura. Le irrigazioni vanno sospese 15 giorni prima della raccolta per evitare la spaccatura degli acini.

La pratica della fertilizzazione nei vigneti in produzione deve tendere a mantenere le viti in equilibrio e va impostata basandosi sulle caratteristiche fisico-chimiche del terreno, nonché sul comportamento vegeto-produttivo delle piante (sviluppo dei germogli, femminelle, quantità di produzione, ecc.).

 

Occorre tener presente che nella determinazione delle quote di N, P e K, da distribuire annualmente, vanno inclusi gli apporti a seguito di concimazione organica. Si potrà procedere in deroga ai limiti previsti per gli elementi considerati, soltanto in seguito all’accertamento di carenze documentate. Le analisi fogliari si possono effettuare per diagnosticare elementi minerali o più in generale per valutare lo stato nutrizionale del vigneto (vedi manuale sulla diagnostica fogliare). Le concimazioni fogliari sono consigliate se finalizzate a razionalizzare lo stato nutrizionale della vite sopperendo ad esempio ad eventuali carenze.

Azoto

Sulla base delle suddette informazioni verrà effettuata la concimazione con azoto, che varia a seconda del tipo di terreno, del vitigno, del portinnesto, del sistema di allevamento, della gestione del suolo e della produttività del vigneto.

Considerate le molteplici esigenze della coltura, per la quantità di azoto da apportare si fa riferimento alla successiva tabella per i limiti degli apporti azotati annui.

La concimazione azotata minerale deve essere frazionata al fine di ridurre le perdite e meglio dosare gli apporti in funzione del carico produttivo delle piante; comunque, per apporti annui inferiori a 60 kg/ha, è possibile effettuare un’unica distribuzione. Non sono ammessi gli apporti d’azoto dalla fase di allegagione a tutto il periodo autunno – invernale.

Tabella per i limiti degli apporti azotati annui della vite

Dotazione di sostanza organica del terreno

Area di coltivazione

Tipo di obiettivo produttivo

Apporti massimi ammessi di Azoto

 

kg/ha

Bassa

Pianura

Uve da Vino

90

Collina

Uve da Vino

100

Media

Pianura

Uve da Vino

80

Collina

Uve da Vino

90

Alta

Pianura

Uve da Vino

70

Collina

Uve da Vino

80

La concimazione fogliare

Gli apporti di fertilizzanti a livello fogliare risultano particolarmente efficaci ed indicati nei casi in cui la potenzialità produttiva delle piante è compromessa o se la si vuole aumentare.

Risultati molto evidenti si hanno quando questa tecnica applicativa è utilizzata per integrare le concimazioni al terreno, per stimolare piante sottoposte a stress ambientali e fisiologici, e per prevenire o curare carenze nutrizionali.

A tal proposito la pianta della vite risulta beneficiare non poco dei prodotti ad azione fogliare, specialmente quelli a base di: sostanze organiche naturali, fitormoni, microelementi complessati, prodotti contenete zolfo, concimi azotati (N) e misti (NP, NK, NPK).

Alcuni esempi di prodotti commerciali abitualmente utilizzati sulla vite sono:

Fosforo e potassio

La concimazione con fosforo e potassio, essendo elementi poco mobili, va effettuata essenzialmente prima dell’impianto del vigneto, durante la preparazione del terreno. L’apporto in fase di produzione deve limitarsi a quei casi in cui i valori analitici del terreno risultano inferiori rispetto al normale. Comunque non sono ammessi apporti annuali superiori ai valori indicati nella tabella seguente.

Tabella per la concimazione fosfo-potassica annuale della vite

Dotazione del terreno

Elemento fertilizzante

Apporti massimi ammessi kg/ha

Bassa

P2O5

70

K2O

200

Media

P2O5

50

K2O

150

Alta

P2O5

30

K2O

100