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Fonte articolo: redazione di Fruit Journal
articolo a cura di Agrimeca Grape and Fruit Consulting sr! - Turi (Bari)

 
Il mandorlo è una coltura frutticola simile alle altre che necessita di adeguate cure agronomiche per assicurare performance produttive e soddisfacente redditività. Grazie alla disponibilità di portinnesti poco vigorosi, anche per il mandorlo sono ora proposti impianti ad alta densità e completamente meccanizzabili, aprendo nuovi scenari per lo sviluppo della coltura.

 

In campo internazionale, il settore della frutta secca sta calamitando da 10 anni a questa parte una notevole attenzione per l'innalzamento dei consumi a livello mondiale.

Ciò si traduce in un ampliamento delle superfici produttive, considerando che le varie specie - noce, nocciolo, mandorlo, pistacchio, macadamia, ecc. - possono avvantaggiarsi di sistemi colturali innovativi e fortemente meccanizzabili che meglio interpretano i concetti di frutticoltura intensiva ed industriale.

 

Tra le diverse specie, il mandorlo è quella che più interessa gli areali di coltivazione meridionali e che sta attirando l'attenzione di agricoltori e nuovi investitori esterni al settore, che puntano su questa coltura perché intravedono buone rimuneratività dell'investimento.

L'Italia, primo produttore mondiale nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale, è al momento relegato ai margini della scena, con lo 0,7% della produzione totale.



Oltre l'80% della produzione è concentrata in California; seguono poi Australia e Spagna, ognuna delle quali rispettivamente con il 5% (fonte USDA e International Nut Council - stagione 2014/2015).

 

Il ritorno alla coltivazione di questa specie nei territori meridionali può oggi costituire una valida alternativa ad altre cotture frutticole, che stanno vivendo momenti di difficoltà commerciale, per l'impossibilità di coltivare specie fortemente suscettibili a malattie epidemiche ormai ampiamente diffuse - come nel caso della sharka delle drupacee o tri­steza degli agrumi - così come un'interessante opzione per produrre reddito anche in areali marginali alla frutticoltura tradizionale.

 

Non bisogna però cadere in facili entusiasmi e pensare che modelli vincenti in altre condizioni pedoclimatiche, come facilmente rimbalza sul web, possano essere semplicemente replicati senza una sufficiente conoscenza delle problematiche insite alla coltura.

 

Di seguito si segnalano solo alcuni aspetti da considerare affinché l'investimento in mandorlicoltura garantisca redditività dignitose e risulti competitivi nei confronti di altre colture frutticole.

 

Infatti, è necessario considerare il mandorlo specie fruttifera al 100%, cui dare le stesse cure ed attenzioni che di solito si riservano a pesche, nettarine, albicocche, agrumi, ed altre colture.


Alcuni principi di base

La redditività dell'investimento in mandorlicoltura beneficerà dalle quotazioni mercantili del prodotto, ma non potrà essere interamente dipendente da esse.

Il "segreto" è quello di adottare sistemi d'impianto, siano essi tradizionali o ad elevata densità (superintensivo), che permettano un'elevata meccanizzazione della coltura e che riescano meglio a sfruttare le dotazioni aziendali in termini di parco macchine e disponibilità e costi della risorsa irrigua. Il tutto in un ottica di forte abbattimento dei costi di gestione.

In breve, devono essere ben chiare sin dall'inizio le scelte tecnico-agronomiche di conduzione dell'impianto con tutto il corollario di mezzi ed attrezzature idonee e necessarie al raggiungimento di tali obiettivi.


Progetto dell'impianto

La massima importanza va attribuita al progetto dell'impianto, che ha la funzione di sfruttare razionalmente la superficie disponibile, determinando le distribuzione delle piante per l'ottimizzazione dell'uso delle risorse - acqua e luce - ed agevolare al massimo la meccanizzazione.

L'esposizione dei filari deve essere quanto più possibile in direzione nord-sud per favorire un'uniforme distribuzione della luce ed evitare fenomeni di ombreggiamento.

 

Bisogna considerare che per la possibilità di meccanizzare le operazioni di potatura e raccolta, nonché per la disposizione degli impianti d'irrigazione a goccia, con ala gocciolante o attraverso sub-irrigazione, nella moderna frutticoltura razionale si è fatto spazio il concetto di gestione del filare come continua unità produttiva, piuttosto che quella della singola pianta.

 

Chiaramente le distanze ed il sesto d'impianto dipendono dalla forza del terreno, dall'habitus della varietà, dalla forma di allevamento prescelta e dalla vigoria della combinazione varietà/portinnesto.

 

Per mandorleti tradizionali le densità d'impianto consigliate per forme di allevamento a vaso libero, tali da permettere una raccolta meccanica con scuotitore provvisto di ombrello riverso o con sistemi di intercettazione del frutto su reti, variano tra le 300 alle 420 piante/ha con distanze minime e massime sulla fila di 4÷5 metri ed interfila di 6 metri. Questo per agevolare al massimo la meccanizzazione degli impianti.


Per gli impianti superintensivi, che permettono la raccolta in continuo con macchine scavallatrici, la densità d'impianto può arrivare fino a 2.000 piante/ha, con distanze minime e massime sulla fila di 1,00÷1,50 metri ed interfila di 3,50÷4,00 metri. Tali impianti necessitano di spazi liberi in testata di 6-8 metri per permettere alle macchine di muoversi agevolmente e ridurre i tempi morti di manovra. Per questo motivo i corpi aziendali dovrebbero essere non inferiori ai 10-15 ha di superficie da impiantare.

 

Oggi si stima che questi impianti in Spagna e Portogallo superino i 1550 ha, a cui vanno aggiunti 340 ha tra Puglia e Sicilia, circa 100 ha tra Marocco e Tunisia e i 120 ha della California, con un trend in ulteriore crescita per il futuro.


I portinnesti

I portinnesti più diffusi sono quelli da seme - franco di mandorlo o pesco, e gli ibridi interspecifici pesco x mandorlo, pesco x susino, susini e mirabolani prodotti in vitro.

 

Alcune delle caratteristiche salienti dei portinnesti maggiormente utilizzati e disponibili presso i vivai che propagano il mandorlo, sono indicate nelle Tabelle 1, 2 e 3.

 

È bene tener presente che i portinnesti da seme hanno apparato radicale fittonante, che si approfondisce nel terreno con ottimo ancoraggio per le piante e che soffrono terreni pesanti, non drenati ed argillosi.

I portinnesti in vitro hanno apparato radicale più superficiale, con scarsa capacità di approfondirsi nel terreno e difficoltà a ben ancorarsi in terreni con scarso franco di coltivazione.


Per gli impianti superintensivi gli unici portinnesti utilizzabili sono il Rootpac® 20 e Rootpac® 40 a bassa vigoria, nanizzanti, e pertanto idonei alla costituzione d'impianti ad alta densità.

 

Tab. 1 - Origine botanica e denominazione dei portinnesti maggiormente utilizzati

 

PORTINNESTODENOMINAZIONE VARIETALESPECIE/IBRIDO
Franco mandorloDon Carlo (seme dolce) e 
semenzali amari cv Catuccia
Prunus amygdalus
Franco pescoGF 305, Nemaguard,
Missour, Montclar
Prunus persica
Susino europeoPentaPrunus domestica
Pesco-mandorloGF 677, GarnemP.persica x P. amygdalus
Rootpac® 20DensipacP. besseyi xc P. cerasifera
Rootpac® 40Nanopac(P. dulcis x P. persica) x (P. dulcis x P. persica)


Tab. 2 - Caratteristiche dei portinnesti rispetto a tipologia del terreno e disponibilità irrigua

 

Tipologia di
coltivazione
TerrenoPortinnesti di diversa tipologia
Franco
Mandorlo

Franco
Pesco

Ibrido
Pesco x Mandorlo
Susino/
Mirabolano
Senza irrigazioneSciolto SINOSI SI 
Franco SINOSISI 
Franco-argillosoSI NO  SISI 
ArgillosoNO NO SI/NO SI 
Con irrigazioneScioltoSI SI (no calcare) SI SI 
FrancoSISI (no calcare)SI SI 
Franco-argillosoNO NOSI SI 
ArgillosoNO NO NO SI 


Tab. 3 - Resistenze e/o Tolleranze mostrate da alcuni dei portinnesti più diffusi. S suscettibile; T tollerante; R resistente


Clicca sulla tabella per Zoommare

 


Scelta varietale

Comune denominatore è quello di scegliere varietà autofer­tili ed a fioritura tardiva. Tali caratteristiche sono indispensabili per ridurre i problemi derivanti da andamenti climatici bizzarri e dalle gelate tardive, eventi che possono influenzare negativamente l'impollinazione ed una buona allegagio­ne dei frutticini. Infatti, da sempre le gelate tardive costituiscono il principale timore dei mandorlicoltori locali.

 

Un aspetto importante al momento della scelta è quello relativo alla destinazione finale del prodotto.

 

Se la produzione è destinata alla produzione di pasta di mandorla, marzapane, con mandorle che saranno triturate, le varietà autoctone Filippo Ceo, Genco, Tuono, Pepparudda, Falsa Barese, rappresentano una sicurezza in termini di rese (tutte attorno al 35%, ma migliorabili fino ad oltre il 40% con adeguate cure agronomiche) e di caratteristiche qualitative ed organolettiche del prodotto grazie a particolari caratteri biochimici quali contenuto in olio, acidi grassi e steroli.

 

Se destinata invece alla confetteria, dovranno scegliersi varietà a seme singolo, come Pizzuta d'Avola (che però ha un basso fabbisogno in freddo ed una fioritura estremamente precoce); la Fragiuglio (con seme lungo, autoincompatibile e dalla resa in sgusciato intorno al 30%) o anche Tuono e Genco.


Per gli impianti superintensivi, le cultivar di mandorlo che hanno dimostrato ben adattarsi a questa di forma di allevamento in parete, mostrando le migliori performance vegeto-produttive sono Belona, Guara (sin. Tuono), e Soleta (di origine spagnola) e la Lauranne® Avjior (francese).

Sono in fase di validazione anche impianti con le storiche va­rietà autofertili italiane Filippo Ceo, Genco e Tuono, oltre ad altre varietà ancora in fase sperimentale.


Formazione della struttura produttiva

Sia che si tratti di mandorleti tradizionali, sia superintensivi, la massima attenzione deve essere riposta alla formazione della struttura produttiva nel più breve tempo possibile. Negli impianti tradizionali l'astone, una volta messo a dimora, va raccorciato al disopra della futura impalcatura, al fine di favorire l'emissione di numerosi germogli tra i quali poi scegliere quelli più robusti e meglio posizionati per la formazione delle branche.

 

A seconda degli scuotitori meccanici che si utilizzeranno, l'impalcatura varia tra i 90 ed i 120 cm di altezza, per non creare intralcio alle operazioni di raccolta.

 

È necessario eseguire 2-3 interventi di potatura verde nel primo anno per scegliere i germogli destinati a formare le branche ed eliminare quelli che si sovrappongono o competono per vigoria. 1 germogli prescelti vanno poi cimati quando raggiungono la lunghezza di 60-80 cm per favorire la bifor­cazione, che deve avere un'inclinazione di 30-40° rispetto alla verticale, in maniera da avere una chioma compatta ed adatta alla raccolta con scuotitori.

 

Idealmente la struttura scheletrica dell'albero deve essere a cono rovesciato, in modo da facilitare la trasmissione delle vibrazioni dal tronco alle branche principali e, da queste, a quelle più laterali.

Circa il numero di branche da lasciare, esso può variare da 3 a 6 a seconda della varietà, della forza del terreno, se impianto in irriguo o asciutto, ed alla vigoria della combinazione portinnesto/varietà.


Il secondo anno la potatura avrà l'obiettivo di eliminare i succhioni interni alla chioma ed alleggerire le cime delle branche per evitare che si pieghino, per il peso, verso il basso. Bisogna poi procedere alla scelta delle due branche secondarie a circa 180-200 cm dal piano di calpestio, con interventi di taglio graduali al verde, poi rifiniti in inverno.

 

Dal terzo anno la potatura di produzione mira a favorire un illuminazione completa della chioma ed una giusta areazione al suo interno. I tagli riguardano l'eliminazione dei succhioni ed il rinnovamento dei rami produttivi.

È poi possibile proseguire con potature meccaniche delle cime e laterali, con asportazione manuale dei succhioni interni alla chioma.

 

Negli impianti superintensivi sono messe a dimora piante "smart-tree", ossia piante microinnestate a chip-budding in un vaso di piccolo volume con uno stick di sostegno ed uno shelter di materiale plastico, per la successiva gestione delle infestanti con diserbo chimico su filare durante la fase di allevamento in campo.

 

Queste piante sono allevate in serra, avendo cura di spuntare più volte, nel breve ciclo che precede la vendita (3-6 mesi) il germoglio in accrescimento, così da stimolare lo sviluppo di più assi e pre-formare la chioma o meglio i precursori della chioma della pianta già nella fase di vivaio.

La formazione della pianta parte fin dalle prime settimane dopo la messa a dimora, operando cimature della parte superiore della chioma (tapping) e dei rami laterali (hedging) che hanno lo scopo di facilitare quanto prima la formazione della parete produttiva.


L'altezza delle branche principali dal piano di calpestio sarà di circa 70 cm per favorire una corretta raccolta meccanica da parte delle macchine scavallatrici e non perdere frutti per terra per il mancato intercettamento della parte inferiore delle macchine.

Le diverse varietà idonee a questo sistema di allevamento sono caratterizzate da differenti habitus, dominanza apicale e capacità di ramificare, per cui necessitano di interventi di formazione specifici non generalizzabili.

L'altezza finale della parete non deve superare i 2,5-2,7 metri e la larghezza della parete produttiva non deve andare oltre gli 80-85 cm, per le esigenze della meccanizzazione. Ulteriori sviluppi delle macchine utilizzate per queste operazioni permetteranno di poter aumentare le dimensioni della parete produttiva, sia in altezza che in ampiezza, tenendo a mente comunque l'importanza di una buona illuminazione per la differenziazione a frutto delle gemme.


Esigenze nutrizionali

Per indicare le esigenze nutrizionali della specie è indispensabile basarsi sulle analisi chimiche del terreno investito dalla coltura ogni 3-5 anni.

Tuttavia, al fine di fornire notizie utili su come comportarsi, riferendosi alla tecnica della concimazione frazionata, che prevede la restituzione degli elementi asportati dai frutti, aumentati del 50% se si allontana anche il legno di potatura, per il calcolo degli elementi asportati ci si può regolare come segue:

 

N - azoto: 2,5 gr per kg frutti

P - fosforo: 0,25 gr per kg frutti

K - potassio: 2,0 gr per kg frutti

Ca - calcio: 0,30 gr per kg frutti

Microelementi: secondo indicazioni da analisi del terreno e fogliari.

 

Circa l'epoca di somministrazione degli elementi nutritivi con fertirrigazione, è buona norma frazionare gli apporti durante la stagione, così da fornire gli elementi nutritivi in relazione al ciclo fenologico della coltura.

 

Per l'azoto sarebbe opportuno fornire il 30% alla ripresa vegetativa, il 40% prima dell'indurimento del nocciolo ed il restante 30% in post raccolta.

 

Per fosforo e potassio, il 40% alla ripresa vegetativa e la restante parte in post raccolta.

 

Il calcio invece va tutto somministrato prima dell'indurimento del nocciolo.


Fatte salve queste indicazioni, per gli impianti superinten­sivi è necessario un abbondante apporto di microelementi, in particolar modo di manganese, per sopperire alle carenze che possono manifestarsi con l'utilizzo di portinnesti a basso e bassissimo vigore come i Rootpac® 20 e Rootpac® 40.


Apporti irrigui

Per ottenere buone produttività non è pensabile oggi coltivare un mandorleto in asciutto.

I volumi irrigui necessari possono essere stimati in circa 2.000 m3/ha per impianti tradizionali, per produzioni di 1.500-1.700 kg/ha di seme.

Negli impianti superintensivi si calcola che per il raggiungimento di una produzione di prodotto sgusciato di 2.000 kg/ ha siano necessari almeno 4.000-5.000 m3/ha di disponibilità idrica.

 

L'elemento limitante quindi potrebbe essere il fattore idrico. La distribuzione dell'acqua attraverso impianti a goccia dotati di sistemi di fertirrigazione non può prescindere da strumenti che indicano al tecnico il periodo corretto di somministrazione e le quantità da erogare.

Questo si ottiene con vari sistemi, dai più semplici tensiome­tri alle centratine provviste di sonde, che calcolano anche il grado igrometrico e l'evapotraspirazione della coltura. 

Gestione del suolo

La gestione del suolo deve preservare al massimo i contenuti di sostanza organica, di cui i nostri terreni soffrono di cronica carenza. Sia negli impianti tradizionali, sia per quelli superintensivi, si predilige l'inerbimento dell'interfilare, naturale o con semina controllata, con sfalcio dell'erba quando raggiunge l'altezza di 15-20 cm. In questa maniera il piano di calpestio è sempre carrabile ed è facilitata la movimentazione di mezzi e macchine agricole.


Il controllo delle infestanti lungo il filare può essere eseguito o con diserbo chimico o con mezzi meccanici (lame e rotori interceppo), che mantengono il terreno libero dalle erbacce. Per gli impianti superintensivi le piante sono provviste di shelter per permettere il controllo chimico sulla fila sin dai primi giorni del trapianto.

 

Qualora la coltivazione avvenga in regime di agricoltura biologica, al fine di evitare l'utilizzo di mezzi meccanici che risulterebbero traumatici per l'attecchimento delle piantine e non faciliterebbero una rapida colonizzazione del terreno da parte degli apparati radicali ridotti dei portinnesti, si consiglia l'utilizzo della pacciamatura che assicura un controllo "passivo" per i primi due anni. Successivamente, una volta che le piante si sono ben ancorate, è possibile il controllo meccanico con sarchiatori interceppo di diversa fattura.


Difesa fitosanitaria

Numerosi sono gli organismi nocivi e gli insetti che insedia­no la coltura.

Tutti quelli trasmissibili con i materiali di propagazione - virus, viroidi, funghi tracheomicotici ed agenti di marciumi radicali, nematodi endoparassiti - sono facilmente contrat­tabili con l'utilizzo di piante certificate prodotte nell'ambito dei programmi di certificazione volontaria del Mipaaf o uti­lizzando piante di categoria CAC acquistate da vivaisti accre­ditati e controllati dal Servizio Fitosanitario Regionale.

Le maggiori insidie derivano dai funghi agenti di:

  • marciumi bruni (Monilia laxa e M. fructigena),
  • cancro dei nodi (Fusicoccum amygdali),
  • corineo o impallinatura (Coyneum bejerinckii),
  • macchie rosse delle foglie (Polystigma ochraceum),

 

mentre tra i fitofagi bisogna prestare la massima attenzione a:

  • afidi (Brachycaudus spp., blyzus persicae e Hyalopterus pruni),
  • cimicetta del mandorlo (Monosteira unicostata),
  • tignola del pesco (Anarsia lineatella),
  • acari (Tetranichus urticae e Panonychus ulmi),
  • capnode (Capnodis tenebrionis).

La protezione contro i miceti sopra indicati è prevalentemente autunno-invernale con prodotti a base di rame e con la cura delle potature per eliminare pericolose sorgenti d'inoculo.


È fondamentale un continuo monitoraggio della coltura per intervenire tempestivamente con i prodotti fitosanitari ammessi dal Disciplinare di produzione integrato della Regione Puglia (www.agrometeopuglia.it).

 

Nuove opportunità per il mandorlo

Le soluzioni tecniche oggi disponibili costituiscono un valido supporto per una moderna e razionale interpretazione della coltura del mandorlo, sia adottando sistemi d'impianto tradizionali, sia i nuovi superintensivi.

A lungo considerato una specie minore, bisognosa di pochi input idrici e nutrizionali, per il suo successo produttivo e commerciale esso richiede di essere trattato a tutti gli effetti come una coltura da frutto.

Per fronteggiare le nuove sfide del mercato e dare certezza al reddito dei frutticoltori, l'obiettivo principale resta quello di mettere nelle mani del produttore uno strumento di facile gestione e che permetta la realizzazione di sistemi produttivi sostenibili sotto i profili economico ed ambientale.


Solo così operando si potrà dare certezza agli imprenditori, spingendoli ad aver fiducia nei loro investimenti necessari a rafforzare la filiera mandorlicola nazionale in maniera competitiva.

 

Per questo un grosso contributo lo potranno fornire i tecnici di campo (categoria sempre meno numerosa!) che dovranno saper interpretare nel modo corretto le reali esigenze della coltura, le caratteristiche dei nuovi portinnesti e le peculiarità di gestione che un frutteto intensivo richiede.

 

È richiesta dunque un'elevata specializzazione dei tecnici per meglio sfruttare l'innovazione proposta dai programmi di breeding e per trasferire l'enorme know-how sviluppato dalla ricerca nell'attività quotidiana di campo.

 

Gli esempi di impianti virtuosi in Puglia, sia tradizionali, sia superintensivi, condotti e gestiti in maniera razionale da imprenditori che credono nella coltura, con l'assistenza e consulenza dei tecnici esperti, di certo non mancano.

 

Essi costituiscono la migliore prova tangibile che il mandorlo può tornare ad essere una coltura arborea di primo piano in Regione e nell'Italia meridionale più in generale, che ben si integra al territorio e sfrutta al meglio le risorse naturali, assicurando un reddito dignitoso alle imprese agricole.

Mandorlo: visione moderna di una coltura tradizionale

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