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Fonte articolo: www.agrinewsalento.it

‘Ricerca e miglioramento genetico, la risposta alla xylella è scritta nel vostro Orto degli Ulivi’, l’analisi del prof. Fontanazza.

‘Siamo per davvero dinanzi ad una catastrofe, perché quello che sta succedendo nel Salento con la Xylella è un evento unico. Non c’è memoria nella storia dell’ulivo, neanche quando venne la terribile gelata dell’’85 che distrusse migliaia di ettari di oliveti in Italia Centrale la situazione apparve così grave…’

Per nulla sfocata, anzi nitidissima la fotografia sull’olivicoltura salentina del prof. Giuseppe Fontanazza, già direttore dell’ Iro Cnr di Perugia, lo scienziato che ha costituito la cultivar Fs 17 denominata ‘Favolosa’, l’unica insieme al Leccino a cui è stata affidata dalla Unione Europea la speranza del reimpianto degli ulivi distrutti dalla Xylella. Dopo la testimonianza di Antonio Cimato, nei giorni scorsi la nostra redazione ha contattato un altro grande scienziato italiano, padre della ricerca nel settore olivicolo. 

Professor Fontanazza, è comunque possibile fare un parallelismo tra questi due drammi dell’olivicoltura italiana, quello della gelata di metà anni Ottanta e quello del batterio killer nel tacco della Puglia? 

Beh, proviamoci… Nell’’85, a seguito della gelata, si creò un blocco della produzione per diversi anni, quindi drammi dal punto di vista economico e commerciale; pensi che alcuni grossi, anzi grossissimi produttori toscani vennero da me in Istituto per dire: “professore, ci dia una mano, perchè saremo


costretti a licenziare gli operai dell’azienda, così non ce la facciamo più, cosa possiamo fare?”. Allora suggerii che la via più semplice da seguire era quella di organizzare un vivaio in azienda per produrre piantine e rifare gli impianti seguendo tecnologie adeguate messe appunto e sperimentate presso il nostro istituto a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Così furono occupati gli operai non solo in azienda ma anche nel vivaio per produrre sia piante da utilizzare al fine di rifare gli oliveti ma anche per la vendita stessa delle piante ad altre aziende.


Nel Salento la situazione sembra completamente diversa, invece.

Nel Salento attualmente siamo di fronte ad una situazione che sembra irreversibile. La Xylella, secondo quanto dicono gli esperti di patologia e, soprattutto, i batteriologi, si tratta di un batterio che si combatte male, anzi malissimo. Tutti hanno sperato, ed io con loro, che ad un certo punto si potesse verificare una mutazione del batterio o qualcos’altro da parte della pianta che creasse una reazione al batterio stesso nel tentativo di bloccarlo, ma per adesso si è osservata la morte delle piante che è lenta, progressiva, terribile.

 
Professore, però ci dica la verità. La nostra olivicoltura, l’olivicoltura salentina, anche senza il dramma della Xylella sarebbe un’olivicoltura efficiente?

Dal punto di vista economico non più, in considerazione dell’evoluzione tecnologica della coltura. Bisognerebbe domandarsi infatti se sia ancora attuale il tipo di olivicoltura salentina, fortemente legata alla tradizione, con piante gigantesche dove si aspetta che le olive caschino mature per raccoglierle da terra. Per cui la risposta che dò non può essere che ‘no’. Mi creda, parlando con olivicoltori, che hanno vissuto quest’esperienza per anni, sento spesso dire: “le nostre varietà d’ulivo non è che fossero molto produttive, anche se l’olio era considerato buono, piaceva ai consumatori locali e si era valorizzato anche in un certo tipo di mercato per cui tutto sommato si era creato una sorta di equilibrio in cui, grazie anche all’integrazione comunitaria, quest’olivicoltura poteva andare avanti”.



Ma non tutto si esaurisce nell’aspetto economico, c’è anche quello paesaggistico che conta tanto.

Esatto, proprio nel Salento assume rilevanza l’aspetto storico-paesaggistico che risulta rilevante nell’ambiente per cui il mantenimento diventa fondamentale: siamo infatti di fronte a ciò che la Magna Grecia è stata in epoca remota; è quella rimasta come memoria millenaria con i suoi ulivi giganti senza età, la quale è andata avanti nei secoli senza inconvenienti. Oggi, di conseguenza, ci troviamo di fronte a una sorta di museo vivente, per certi versi intoccabile, che ha creato un territorio unico a livello universale.

 

Il problema che si pone è proprio questo. Come conservare questo straordinario e unico paesaggio?

 

Cosa si può e si deve fare allora?

Come esperto del settore produttivo, ma non certamente come fitopatologo, osservo le piante gravemente colpite dal terribile batterio.

 

Dal punto di vista agronomico ritengo tuttavia possibile fare una considerazione ricorrendo ad esperienza concreta che riguarda, proprio nel caso dell’ulivo, il batterio Pseudomonas Savastanoi (rogna dell’olivo) che tutti conoscono.

È noto il comportamento dell’olivo rispetto a questo parassita, per cui le varietà di olivo si comportano in senso differente riscontrando tolleranza di vario genere per alcune varietà ma anche resistenza assoluta in altre.


Stiamo quindi parlando di risposta nel senso di un miglioramento genetico della pianta?

Partendo dalla realtà di cui sopra è ipotizzabile che anche la Xylella abbia un comportamento simile, nel senso che è comparsa una forte sensibilità al batterio in alcune varietà – è il caso proprio delle due varietà salentine Cellina e Ogliarola – mentre il Leccino risulta essere tollerante ma più ancora resistente è la nuova cultivar Fs-Favolosa prodotta dal miglioramento genetico per incrocio.
Partendo da tale evidenza, si può ipotizzare che attraverso il miglioramento genetico classico per incrocio intra-specifico si possa, attraverso varie combinazioni di incrocio tra varietà di ulivo, giungere alla costituzione di nuove linee genetiche in cui, avendo come base un’ampia popolazione di nuovi genotipi si possano riscontrare linee sensibili ma anche resistenti alla Xylella.

 

Su questa base è partita nel giugno scorso, proprio nel Salento, una sperimentazione su larga scala che punta alla creazione di nuove varietà le quali comunque oltre ad essere immuni o altamente resistenti al batterio in esame, posseggano caratteristiche agronomiche e tecnologiche tali da renderle fruibili per oliveti di nuova generazione nel Salento, concepiti su criteri di media e alta densità, su principi tecnici consolidati di una moderna olivicoltura altamente produttiva a cui si collegano peculiari caratteristiche di prodotto e notevoli vantaggi economici nella gestione degli oliveti basata sull’impiego di tecniche di potatura e raccolta meccanica con nuove forme di allevamento della pianta, avendo tuttavia come presupposto la costituzione di nuovi genotipi caratterizzati da media e bassa vigoria.



Cosa si intende per media e bassa vigoria?

Le varietà tradizionali di olivo si caratterizzano per una sostenuta vigoria mentre nel criterio moderno di miglioramento genetico si punta su una media vigoria e più ancora bassa vigoria; a questi due parametri corrispondono tecniche di impianto differenti.

 

Nel primo caso si utilizzano ad ettaro da 450 a 500 piante, dove la raccolta avviene con l’impiego di vibratori del tronco muniti di ombrello; mentre nel caso di varietà con bassa vigoria cresce la densità di piantagione con 900-1.000 piante ad ettaro allevate in filare con forma di allevamento a palmetta libera che consente raccolta in continuo con macchine scavallatrici.

 

Tutto ciò non può che nascere dal complesso e promettente sistema di miglioramento genetico per incrocio, sempre più supportato da ricerca di base.

 

La mia esperienza personale di circa 40anni è direttamente collegata al miglioramento genetico dell’olivo per incrocio libero o controllato, il cui prodotto ottenuto è in parte sperimentato e oggi riguarda oltre 400 nuove linee genetiche da me ottenute negli ultimi 15 anni, oggetto di sperimentazione in campo per alcune di esse.

 

Nel corso della personale attività, in passato presso il Cnr, sono state brevettate oltre la Favolosa tre cultivar: Don Carlo, Giulia, e Da 12 I, quale porta-innesto e varietà.



Ricerca e miglioramento genetico. Quello che in Salento si fa nell’Orto degli Ulivi…

Sì, avrà certamente visto che in quell’orto degli olivi sono state piantate circa 210 linee genetiche nuove provenienti da numerosi incroci tra varietà italiane. Perché tante? A che serve? Il motivo è molto semplice: con questa sperimentazione in campo, avviata nel giugno scorso, si va alla ricerca di nuove linee genetiche resistenti e altamente tolleranti alla Xylella. Questo è il punto di partenza, ma non basta. Se Lei avrà il modo di seguire l’evoluzione di questo campo, oggetto di continue osservazioni e rilevamenti di dati biologico-agronomici, vedrà che nel corso di due anni le piante saranno cresciute mostrando differenti vigorie mentre cominceranno a fiorire e fruttificare. La comparsa di frutti consentirà di effettuare i primi saggi di valutazione dell’olio che da essi deriva dalle singole linee genetiche presenti nel campo. Dopo i primi segnali di valutazione agronomica e tecnologica le linee genetiche individuate dal punto di vista fitopatologico saranno clonate e testate in differenti ambienti pedoclimatici salentini.

 

Si apre così un mondo nuovo che riteniamo porterà alla costituzione di nuove varietà seguendo costantemente i criteri di base del miglioramento genetico, secondo concetti specifici di “miglioramento genetico in situ” in cui operando in un determinato ambiente la selezione tra vari genotipi porterà a scegliere i migliori in relazione a fattori ambientali in cui si opera con queste nuove linee che potranno estendersi nella coltivazione con sicurezza nell'ambiente verificato idoneo.


Si sente un gran parlare di semenzali, lei che idea si è fatto? 

Per quanto riguarda il fatto che in ambiente vocato all'olivo, come nel Salento, nascano semenzali della specie detti olivastri, grazie alla disseminazioni di noccioli da olive ad opera di uccelli cosiddetti friggiferi, nulla di nuovo.
Di tali piante ovviamente non si conosce alcuna storia, non si sa l’origine dalle piante di cui derivano i frutti e quindi i semi, così come è ignota la provenienza del polline oggetto di fecondazione delle piante da cui derivano i frutti maturi diffusi successivamente dagli uccelli.

 

Rispetto a questo processo naturale che dà origine agli olivastri, nel caso del miglioramento genetico classico, si parte dalla scelta di due parentali che darà origine a frutti fecondati e quindi ai semi della pianta che riceve il polline di altre piante; il tutto sotto stretto controllo per evitare inquinamento di polline estraneo a quello del parentale prescelto e della pianta porta-seme.


A ciò segue la nascita di nuove piantine provenienti come si è detto da semi fecondati sotto stretto controllo dell’ibridatore. I semi ottenuti da incrocio controllato danno origine ad una popolazione di semenzali eterogenei tra loro e la soluzione di tipo massale che si opera risulta legata a particolari parametri che l’ibridatore sceglie. È così che si evidenziano individui scelti che verranno fatti sviluppare prima in ambiente idoneo alla loro crescita accelerata, successivamente vanno in campo dove completeranno lo sviluppo con il superamento della fase improduttiva (giovanilità) fino all'inizio della fioritura e fruttificazione di ogni singolo individuo selezionato.

 

È da questo punto che si avvia il processo di selezione finale su base di differenti parametri per passare successivamente al confronto tra le nuove linee genetiche al fine di giungere alla valutazione agronomica e tecnologica delle piante evolute. La scelta finale porta alla costituzione di nuove varietà con il proprio e specifico corredo genetico che le contraddistingue.

 

Infine non volendo fare l’oscurantista, per quanto riguarda la questione degli olivastri che vengono accanitamente raccolti in varie zone, ritengo che quelli che mostrano realmente resistenza alla Xylella, la cosa più opportuna da fare parrebbe essere di utilizzarli come porta-innesto per vari aspetti e sempre comunque per innestarli con varietà tolleranti/resistenti al batterio.

Xylella: Ricerca e miglioramento genetico

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