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Fonte: rivista "Vigne, Vini e Qualità"
articolo a cura di: Alessandra Biondi Bartolini - Consulente R&S

"Senza un suolo sano e vivo non c'è futuro per l'uomo. Oggi il suolo è violentato, soffocato, contaminato, sfruttato, avvelenato, maltrattato, consumato. Un suolo sano e vivo ci protegge dai disastri ambientali, dai cambiamenti climatici, dalle emergenze alimentari. Tutelare il suolo è il primo modo di proteggere uomini, piante, animali".

Sono le parole con le quali comincia l'appello di People 4 soil, la rete di associazioni, Ong, istituti di ricerca e agricoltori che chiede all'Europa di riconoscere il suolo come bene essenziale per l'ambiente, la società e l'agricoltura. Ma non è solo la cementificazione a rappresentare un rischio per la conservazione del suolo, il modo stesso con cui esso è da sempre stato rappresentato, come un supporto inerte per la coltivazione delle piante, ha portato a sviluppare tecniche che prevedevano un intervento esterno per tutti i fabbisogni delle colture e a impoverire quella che è invece forse la componente più importante per la vita del suolo, il suo microbiota.

 

Secondo una visione olistica e più evoluta, resa possibile anche dall'avanzamento delle tecniche di analisi biomolecolare del Dna e il cui approccio segue quello affrontato nello studio del microbioma umano, né la pianta né il suolo possono essere considerati entità distinte in quanto elementi di un cosiddetto olobionte, una super-entità biologica nella quale sono i microrganismi, lieviti e batteri che interagiscono tra loro, e con gli organismi superiori, a rappresentare la componente più importante di variabilità.


Un approccio questo che solo fino a pochi anni fa non sarebbe  stato possibile con le tecniche di analisi microbiologica tradizionale, se si pensa che tra tutte le specie di batteri presenti nel suolo (si parla di decine di migliaia di unità tassonomiche diverse) soltanto una percentuale compresa tra lo 0,1 e 11% è coltivabile e cioè in grado di crescere su un terreno di coltura sintetico per essere studiata in laboratorio. La tecnica utilizzata per caratterizzare la biodiversità microbica del suolo o di un altro ambiente (dell'uva, dei mosti o del vino ad esempio) si chiama Next Generation Sequencing (NGS) e con un unico sequen­ziamento di tutto il Dna presente all'interno di un campione e la successiva identificazione dei tratti tipici delle diverse specie, con l'applicazione di tecniche di bioinformatica e data analysis, consente di caratterizzare le specie e i gruppi tassonomici presenti e l'ab­bondanza delle loro popolazioni.


Biodiversità funzionale prima di tutto

Quanti sono e quali sono i microrganismi presenti nel suolo dei vigneti, che cosa fanno e in che modo interagiscono con la vite?

 

Lo studio di caratterizzazione delle popolazioni microbiche dei vigneti e degli ambienti naturali dei Colli Euganei e dei Colli Berici, svolto nell'ambito del progetto VeneTerroir (vedere box) ha cercato di dare risposta a questi interrogativi, insieme ad altri obiettivi.

 

Per quanto riguarda i funghi, i gruppi maggiormente presenti tra quelli identificati appartengono ai generi Cladosporium, Fu­sarium, Penicillium, Chaetomium e Mortierella, mentre tra i batteri i ricercatori padovani hanno identificato con maggiore frequenza esponenti delle famiglie delle Gaiellaceae, Chitinophagaceae, Rhodospirillaceae e del phylum Acidobacteria.

 

La prevalenza e l'affermazione di una specie potenzialmente dannosa è indice di povertà o di squilibrio nella biodiversità, che non è in grado di occupare con specie indifferenti o utili tutte le nicchie disponibili.

 

"Un caso significativo emerso dai risultati ottenuti nell'indagine svolta nei vigneti dei Colli Berici e dei Colli Euganei - spiega An­drea Squartini dell'Università di Padova, responsabile dell'indagine microbiologica del progetto VeneTerroir - è rappresentato dal confronto dei funghi presenti in due vigne­ti, in posizioni opposte per biodiversità e per bellezza del paesaggio.



Nel caso del vigneto peggiore il fungo prevalente per il 31% è un Fusarium, genere associato a diverse pato­genesi delle piante coltivate e comunque indicatore di una situazione di rischio; nel vigneto invece migliore per qualità del suolo e fertilità, di un'azienda biodinamica in collina e molto più bella anche dal punto di vista paesaggistico, il Fusarium è presente solo per il 4%".

Al di là delle più di 55.000 unità tassonomi­che di funghi e batteri complessivamente identificate nei dodici vigneti e negli undi­ci boschetti adiacenti che sono stati ogget­to dell'indagine, quello che è più importante nell'interpretazione dello stato di un suolo e della sua capacità di offrire alla coltura quel­li che si definiscono servizi ecosistemici è rappresentato dalla diversità di funzioni svol­te dai diversi gruppi.

UN MODO NUOVO DI VEDERE IL TERROIR VITICOLO

 

Il progetto VeneTerroir, realizzato nell'ambito del PSR Regione Veneto 2007-2012 Misura 124, è frutto della collaborazione degli entomologi del gruppo di ricerca di Maurizio Paoletti, coordinatore scientifico del progetto, e i microbiologi e chimici del suolo coordinati rispettivamente da Andrea Squartini e Giuseppe Concheri, dell'Università di Padova, con la partecipazione dei Consorzi per la tutela dei vini dei Colli Euganei e quello dei Colli Berici e di Vicenza. Obiettivo del progetto è stato quello di ripensare il concetto di terroir, introducendo in esso la dimensione della biodiversità della componente microbica e della meso e microfauna del terreno, e di individuare bioindicatori adatti a caratterizzare e migliorare la qualità dei vini e dell'ambiente.


I PGPR, Plant Growth Promotion Bacteria, sono batteri appartenenti a gruppi diversi, come Bacillus, Pseudomonas, Arthrobacter, Burkholderia, Pantonea etc. che popolano la rizosfera e la cui crescita è stimolata dalla presenza degli essudati radicali. Insieme ai funghi micorrizici questi batteri influenza­no positivamente la crescita della pianta e la resistenza ai fattori biotici e abiotici in modo diretto o indiretto.

 

L'azione diretta è legata alla produzione degli ormoni di crescita come auxine, citochinine, giberelline e alla capacità di inibire la produzione dell'etilene, che si produce invece in condizioni stress e nell'invecchiamento dei tessuti vegetali. Inoltre i diversi gruppi rendono disponibili i nutrienti attraverso i meccanismi di azoto-fissazione, la solubilizzazione dei fosfati, la chelazione del ferro e la degradazione della sostanza organica. In modo indiretto i microrganismi PGPB partecipano al controllo dei patogeni, esercitando su di essi diverse strategie di antagonismo, dalla competizione per i nutrienti alla produzione di molecole ad attività antibiotica, fino alla stimolazione dei meccanismi di resistenza della pianta stessa.

 

"Uno degli aspetti che abbiamo capito meglio è che non è la biodiversità in assoluto a essere importante, in quanto in numero i microrga­nismi presenti negli ambienti più degradati e in quelli più vicini a una situazione naturale non sono molto distanti: quella che rende ricco un ambiente è soprattutto la biodiversità funzionale. Un ambiente nel quale siano presenti molte specie dotate dal punto di vista delle capacità di azione di un'unica funzione, può essere un ambiente molto a rischio", spiega Andrea Squartini.


"Per capire meglio si potrebbe spiegare la biodiversità funzionale come un volume delle pagine gialle molto ricco.

 

Se in città ci fosse un solo idraulico o un solo farmacista o un solo benzinaio, in caso di loro assenza il servizio sarebbe interrotto: se in natura ci sono tanti organismi che svolgono una funzione utile, come ad esempio l'azoto-fissazione o batteri che producono siderofori che rendono disponibile il ferro o microrgani­smi che mobilizzano il fosforo, anche nel momento in cui una di queste specie declina o si estingue ce ne sono altre che sanno fare lo
stesso lavoro e la varietà di servizi ecosistemici delle popolazioni microbiche si mantiene".


Gestire e restituire la fertilità microbiologia al vigneto

Ma come è possibile gestire la fertilità dei suoli conservandone il microbiota nei terreni in equilibrio o ripristinandolo in quelli più degradati dalle attività umane e le pratiche colturali più depauperanti? Sicuramente una gestione oculata dei suoli, il mantenimento delle coperture vegetali all'interno dei filari e nelle aree circostanti, il contenimento nell'uso dei prodotti per la difesa e per il diserbo, la riduzione del compattamento causato dal passaggio dei mezzi pesanti, sono le azioni più importanti per restituire al suolo e ai suoi ospiti la giusta attenzione.

 

Tra le soluzioni proposte negli ultimi anni ci sono gli inoculanti microbici, consorzi batterici o funghi micorrizzici in grado di apportare benefici diversi alla pianta, il cui successo dipende tuttavia molto dalle condizioni ambientali, ovvero dalle nicchie ecologiche che le popolazioni presenti lasciano disponibili per il loro insediamento. Un'altra possibilità è quella di somministrare al suolo preparati che stimolino direttamente la moltiplicazione dei mi­crorganismi utili, favorendo il metabolismo dei batteri PGPR e delle micorrize, le quali sono fondamentali per l'assorbimento dei nu­trienti e per un apparato radicale efficiente.


Il risultato di dieci anni di ricerca

È questa la via che la R&S di BluAgri, società di Ever Srl (Pramaggiore, Treviso), ha intrapreso nella messa a punto e sperimentazione di BluVite, un preparato di origine naturale registrato e autorizzato anche in Agricoltura Biologica da distribuire al suolo, studiato per stimolare 16 sviluppo di batteri e funghi autoctoni e ripristinare la fertilità naturale dei suoli. Insieme a Martina Broggio, che dal 2015 segue la sperimentazione in vigneto del prodotto, rilevandone gli effetti in diverse situazioni e applicazioni e misurandone i risultati, abbiamo visitato alcuni degli oltre 50 vigneti della sperimentazione e osservato alcuni degli effetti legati alle funzioni che i microrganismi del suolo svolgono sulla pianta.

 

"Con questa nuova tecnologia, frutto di 10 armi di approfondita ricerca in viticoltura e dal 2014 applicata direttamente in vigneto, si stimola l'attività dei microrganismi del suolo, batteri PGPR e funghi micorrizici, con l'obiettivo di ridurre l'uso di input chimici e migliorare al contempo il benessere e l'espressione della pianta", spiega Martina Broggio di BluA­gri.

 

"La velocità con la quale gli effetti di questa stimolazione potranno essere osservabili in vigneto, varia in funzione della ricchezza in sostanza organica dei suoli e della presenza di una popolazione indigena più o meno abbondante, ma quando il terreno si riattiva e comincia a lavorare, la risposta della pianta, che diventa più sana e resistente e complessivamente meno suscettibile agli stress, è generalmente significativa".


 

Figura - Rappresentazione schematica di alcuni dei batteri e dei funghi riportati in letteratura caratteristici dei diversi organi della vite.

 

I microrganismi che convivono con una pianta si distinguono in epifiti, che colonizzano la superficie dei suoi organi, ed endofiti, che crescono invece al loro interno (modificato da Gilber at al., 2014)


Su barbatelle e su viti adulte

Tra le applicazioni testate e monitorate, particolarmente interessante è il risultato sull'aumento di radicazione e sul migliore germogliamento delle barbatelle in vivaio, rispetto alle tesi trattate con stimolanti ormonali (NAA), o sulla ripresa nell'attecchimento e sulla crescita di barbatelle in impianti dove errate lavorazioni e concimazioni esclusivamente chimiche in fase di pre-impanto avevano ridotto la fertilità del terreno, con situazioni di asfissia e di indisponibilità di nutrienti per le piante appena messe a dimora.

 

Nei vigneti in produzione (vedi nei box l'esperienza di alcuni dei produttori veronesi che stanno partecipando al progetto BluVi­te) la crescente biodisponibilità di nutrienti ha portato a una maggiore omogeneità nel germogliamento, nell'accrescimento dei germogli e nei tempi di fioritura e di allega­gione, con la conseguenza, soprattutto in alcune annate, di una minore acinellatura nei grappoli soggetti a questa fisiopatia.

 

"Un effetto che si osserva in modo abba­stanza generalizzato è dato dalla riattivazio­ne dell'apparato radicale - spiega Broggio -che porta a ottenere piante più forti, che si esprimono meglio nella loro attività vegetativa, con un maggior accrescimento dei germogli e con foglie con superficie maggiore e tessitura più consistente, senza tuttavia che questo rappresenti una forzatura, in quanto sia la lignificazione dei tralci sia la maturazione dei grappoli avvengono regolarmente e anzi spesso in modo migliore".


Promuovere il dialogo tra pianta e microbiota

E del resto sappiamo bene che il benessere della pianta - che oggi, grazie alle nuove co­noscenze, possiamo estendere al benessere dell'intero sistema, l'olobionte, del quale la pianta fa parte - non può che essere un re­quisito per ottenere produzioni di qualità, che non potrebbero invece essere possibi­li né con piante deboli, carenti o sofferenti, né con apporti esogeni di forzatura idrica o nutrizionale. Il suolo spesso ha tutto quello che serve, occorre che si crei un dialogo tra pianta e microbiota e che non sia il viticol­tore ad interromperlo con pratiche eccessi­vamente invasive.

Gestire il microbiota del suolo per conservare la fertilità

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