Fonte: Periodico "Fertilizzanti"
Articolo a cura di Zeno Varanini zeno.varanini@univr.it
I biostimolanti sono tra i fertilizzanti più di moda e discussi. Facciamo un po' di chiarezza.
L'uso in agricoltura di prodotti definiti come "biostimolanti" è in continua crescita. Recenti stime indicano infatti che il mercato di questi prodotti potrà raggiungere nel 2022 un valore di circa 3 miliardi di euro con crescite annue previste intorno al 10%. A dispetto di questi dati che mostrano come il mercato abbia accettato questa categoria di prodotti - cosa che implicitamente sembra sancirne l'utilità - è da rilevare che dal punto di vista scientifico i lavori presenti in letteratura per la definizione dei loro effetti in ambiente controllato e l'individuazione dei meccanismi di azione, benché in aumento negli ultimi anni, sono piuttosto limitati. I motivi di questo divario sono molteplici e derivano, almeno in parte dalla difficoltà di definire questi prodotti.
Cosa sono i biostimolanti
La definizione attualmente più accreditata per questa categoria di composti è la seguente: «Un biostimolante vegetale è qualsiasi sostanza o microrganismo che venga applicato alle piante con lo scopo di aumentarne l'efficienza nutrizionale, la tolleranza agli stress abiotici e/o aspetti qualitativi delle piante coltivate, a prescindere del proprio contenuto in nutrienti». In altre parole almeno per quanto riguarda l'aspetto della nutrizione vegetale il biostimolante deve essere in grado di promuoverla/stimolarla senza essere esso stesso la fonte nutrizionale.
Buona parte della difficoltà nell'affrontare in maniera rigorosa lo studio degli effetti di queste sostanze risiede nell'eterogeneità dei tipi di prodotti biostimolanti e, all'interno di questi, nelle specifiche formulazioni. Le principali categorie descritte come biostimo-lanti sono le seguenti:
- acidi umici e fulvici;
- idrolizzati proteici e altri composti azotati (principalmente amminoacidi);
- estratti di alghe marine e di altri vegetali;
- chitosano e altri biopolimeri;
- composti inorganici (es. Si e altri elementi minerali non essenziali);
- funghi e batteri benefici.
L'origine della parola "biostimolante"
È interessante osservare che in campo scientifico la parola biostimolante è relativamente recente essendo apparsa la prima volta nella rivista digitale Ground Maintenance nel 19972. Gli autori del contributo (Zhang and Schmidt) definirono come biostimolanti «materiali che in piccole quantità promuovono la crescita delle piante»; questo per distinguerli da nutrienti e ammendanti che promuovono anch'essi la crescita ma devono essere applicati in grandi quantità. I due autori nell'articolo identificavano come biostimolanti acidi umici ed estratti di alghe marine. La parola biostimolante si è in seguito via via diffusa ed è attualmente utilizzata non solo a livello di Comunità Europea — che inserirà questa categoria di prodotti nel regolamento di prossima uscita relativo ai prodotti fertilizzanti — ma anche dalle principali aziende interessate a questo settore che, a partire dal 2010, si sono riunite nell'European Biostimulant Industry Council (EBIC), consorzio che attualmente riunisce più di 50 compagnie.
I biostimolanti e ricerca scientifica. Effetti fisiologici e meccanismi di azione di acidi umici e idrolizzati proteici
Come sopra affermato la ricerca sui meccanismi d'azione dei prodotti biostimolanti presenta non poche difficoltà. Tuttavia almeno per qualche categoria di composti (acidi fulvici e umici, idrolizzati proteici) si vanno elucidando alcuni meccanismi chiave d'interazione con gli organismi vegetali che possono contribuire a spiegare almeno alcuni aspetti degli effetti biologici osservati.
Acidi fulvici e umici
Gli studi sugli effetti biologici di queste sostanze risalgono a molti anni prima che entrasse nell'uso la parola biostimolante. Già alla fine degli anni '70 era noto che trattando con opportune quantità di sostanze umiche (estratte da suolo) piante di specie diverse si poteva indurre un aumento della biomassa dei vegetali e del contenuto di alcuni nutrienti. Studi successivi mostrarono che le molecole umiche sono in grado di incrementare la velocità di trasporto ionico probabilmente agendo sull'enzima H+-ATPasi (pompa protonica). Il meccanismo, studiato nel dettaglio per il trasporto del nitrato, è spiegato in alto nella figura 1.
Nell'azione di stimolazione risultarono particolarmente efficienti sostanze umiche solubili in acqua caratterizzate da piccole dimensioni molecolari e con struttura simile a quella degli acidi fulvici. Queste stesse molecole erano anche in grado di aumentare la lunghezza dell'apparato radicale di piantine di mais e determinare la produzione di un maggior quantitativo di radici secondarie e laterali (cfr. Figura 2).
Nel complesso quindi le piante trattate con queste sostanze oltre a assorbire i nutrienti con maggiore velocità possiedono una più elevata superficie assorbente in grado di renderle più efficienti per l'assorbimento di nutrienti dal suolo con particolare riguardo a quelli poco mobili come ferro e fosfati.
Le molecole umiche si sono dimostrate in grado di interferire positivamente anche con la nutrizione ferrica. Infatti, queste sostanze, sono in grado non solo di far aumentare la quantità di ferro nella soluzione del suolo complessando il micronutriente, ma anche di migliorare le risposte delle piante alla sua carenza. Recentemente è stato visto che il trascrittoma di piantine di pomodoro ferro-carenti rifornite con ferro-fulvati rimaneva pressoché identico a quello di piante non rifornite col micronutriente6 stesso. In altre parole le piante alle quali veniva somministrato il ferro-fulvato non percepivano la presenza del ferro intracellulare mantenendo attivi tutti i meccanismi di risposta alla mancanza dei micronutriente accumulandolo così molto più velocemente - con conseguente rinverdimento delle foglie - rispetto alle piante rifornite con altri tipi di ferro-chelati. Questi dati indicano quindi che in presenza di queste sostanze la risposta agli stress nutrizionali da parte dei vegetali risulta migliorata.
Idrolizzati proteici
Gli idrolizzati proteici sono un'altra classe piuttosto diffusa di prodotti biostimolanti. Questi prodotti sono costituiti da miscele di peptidi e amminoacidi ottenuti da fonti di origine diversa, quali: tessuti animali epiteliali o connettivi, collagene o elastina animale, proteine del germe di carruba, residui di erba medica, residui di frumento da distilleria, glicoproteine da pareti cellulari di tabacco, proteine da alghe.
I metodi di produzione spaziano dall'idrolisi enzimatica a quella chimica oppure termica. Le fonti diverse e i differenti metodi di produzione pongono il problema dell'omogeneità dei prodotti presenti in questa categoria e indicano la necessità di accurati studi di caratterizzazione che precedano eventuali approcci tesi a definire i meccanismi di azione. Per gli idrolizzati proteici sono stati descritti molteplici effetti sui vegetali.
Oltre alla stimolazione della crescita sono state mostrate interferenze con il metabolismo dell'azoto e del carbonio e effetti antiossidanti con mitigazione di stress abiotici.
Recentemente, utilizzando idrolizzati proteici (miscela di peptidi e amminoacidi prodotti da SICIT 2000, Arzignano, Italia) derivati da sottoprodotti dell'industria delle pelli (collagene), è stato condotto uno studio a livello fisiologico e molecolare (analisi trascrittomica) sugli effetti di questi composti su piantine di mais.
A parità di azoto rifornito (ammonio, amminoacidi liberi, idrolizzati proteici) gli effetti sulla morfologia degli apparati radicali erano maggiori per le piantine trattate con gli idrolizzati proteici (cfr. Figura 3) con un maggiore aumento della superficie radicale assorbente rispetto a quelle trattate con amminoacidi. Anche l'analisi trascrittomica ha mostrato l'esistenza di azioni distinte fra amminoacidi liberi e idrolizzati proteici.
Le principali categorie di geni interessate erano quelle a legate a fenomeni di trasporto, metabolismo della parete cellulare, metabolismo ormonale e risposta allo stress. Per quest'ultimo fenomeno le risposte determinate dagli idrolizzati proteici erano più definite e con tutta probabilità determinavano un minor dispendio energetico per le piante. Rispetto a questi composti l'ipotesi è che i peptidi esogeni possano interferire con i segnali generati da peptidi naturalmente presenti nei vegetali per i quali si va elucidando un importante ruolo nel "signalling" ormonale che controlla il metabolismo della pianta.
Conclusioni
Come sopra dimostrato la ricerca, almeno per qualche categoria di prodotti biostimolanti, sta chiarendo aspetti del meccanismo d'azione. Nonostante la difficoltà di ottenere solidi risultati scientifici dovuti all'eterogeneità di questi prodotti, progressi in questo settore saranno fondamentali per migliorare i processi produttivi e le condizioni di utilizzo pratico.
Per quest'ultimo punto è da rilevare anche l'importanza di rigorose prove di campo dato che, dosi di utilizzo, tempistica, condizioni fisiologiche delle colture possono con tutta probabilità influenzare l'azione dei prodotti e la conseguente utilità pratica dei trattamenti.