Fonte: Vigne, Vini e Qualità
Articolo a cura di Giovanni Colugnati, Giuliana Cattarossi
Recentemente su media e stampa più o meno specializzata capita spesso di vedere utilizzati i termini sostenibilità e resilienza quali sinonimi, abbinati anche ai sistemi viticoli, anche se si tratta di due concetti decisamente differenti, seppur fortemente collegati tra di loro: questi motivi ci hanno sollecitato a cercare di chiarire alcuni principi e soprattutto le loro applicazioni, anche alla luce della programmazione europea in tema di agricoltura sostenibile (PSR 2014-20, Misura 8).
Lo sviluppo sostenibile nell'Antropocene
Il concetto di sviluppo sostenibile fu introdotto per la prima volta. nel 1987 nel Report of the World Commission on Environment and Development Our: Common Future, noto anche come Brundtland report, nel quale si chiarì il riferimento a uno sviluppo che soddisfi le necessità di oggi senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie: in un certo senso si potrebbe dire che l'obiettivo dello sviluppo sostenibile è quello di portare il mondo in uno stato di equilibrio che deve essere mantenuto quanto più stabile possibile.
Secondo molti esperti questo traguardo è tuttavia molto difficile (se non impossibile) da raggiungere, come ridabito dai 17 Sustainable Development Goals
(Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, delle Nazioni Unite), soprattutto nell'attuale scenario che presenta nuove e più complesse sfide di sviluppo e nel quale molti cambiamenti e situazioni di squilibrio sono già realtà e non possono più essere evitati. Purtroppo oggi il nostro intervento sui sistemi naturali ha raggiunto livelli troppo elevati di pressione, tanto da costituire un cambiamento globale che viene paragonato da molti esperti a quelli dovuti alle grandi forze geologiche che agiscono da sempre sul nostro pianeta: da qui la proposta di alcuni studiosi (il Nobel Paul Crutzen, fra questi) di classificare il periodo dalla rivoluzione industriale a oggi addirittura come un periodo geologico a parte della storia della Terra, da definire Antropocene (Bologna, 2010).
Riorganizzarsi durante il cambiamento
Entra in campo a questo punto la resilienza, definita dagli esperti del Resilience Center di Stoccolma come "la capacità di un sistema, sia esso un individuo, una foresta, una città o un'economia, di affrontare il cambiamento e continuare nel proprio sviluppo". E aggiungono: "È qualcosa che riguarda il modo in cui gli uomini e la natura possono utilizzare gli shock, come per esempio i cambiamenti climatici e le crisi economiche, per spronare al rinnovamento e a nuovi modi di pensare".
Il concetto ecologico di resilienza fu introdotto da Crawford Holling, sin dai primi anni Settanta, e definisce la capacità dei sistemi naturali o dei Social Ecological Systems (i sistemi integrati ecologici e umani) di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi mentre ha luogo il cambiamento, in modo tale da mantenere ancora essenzialmente le stesse funzioni, la stessa struttura, la stessa identità, e gli stessi feedback.
Il sistema ha la possibilità quindi di evolvere in stati multipli, diversi da quello precedente al disturbo, garantendo il mantenimento della vitalità delle funzioni e delle striature del sistema stesso (Bologna, 2010).
La resilienza, ricorda Holling, è misurata dal grado di disturbo che può essere assorbito prima che il sistema cambi la sua struttura, mutando variabili e processi che ne controllano il comportamento. La resilienza di un ecosistema costituisce quindi la sua capacità di tolleranza di un disturbo senza collassare in uno stato qualitativo differente, controllato da un differente set di processi.
Naturalmente anche un sistema resiliente ha il suo punto debole, rappresentate dal concetto di vulnerabilità (Bologna, 2010). La vulnerabilità si manifesta quando un sistema ecologico (oppure sociale) perde le sue capacità resilienti divenendo quindi vulnerabile al mutamento che precedentemente poteva essere assorbito.
Quindi, in un sistema resiliente il cambiamento ha la potenzialità di creare opportunità di sviluppo, novità e innovazione mentre in un sistema vulnerabile persino piccoli cambiamenti possono risultare devastanti.
Meno resiliente è il sistema, minore è la capacità delle istituzioni e delle società di adattarsi e dì affrontare i cambiamenti. Attuare politiche di sostenibilità vuoi dire apprendere come gestire l'incertezza, adattarsi alle condizioni mutevoli che si presentano ma, soprattutto, evitare di rendere sempre meno resilienti i sistemi naturali e i nostri sistemi sociali.
Una viticoltura sostenibile e resiliente
Se il concetto di sviluppo sostenibile punta a uno sviluppo che possa almeno in parte evitare i cambiamenti e le loro conseguenze negative sull'uomo e sull'ambiente, mitigando parzialmente o in toto il nostro impatto devastante, quello di resilienza si propone invece di arrivare a una condizione nella quale si riesca a confrontarsi e a superare tali cambiamenti senza venirne completamente travolti.
A differenza di quanto si potrebbe pensare, passare da politiche che concentrano gli sforzi sull'idea di sostenibilità ad altre che invece si focalizzano sulla resilienza non significa affatto ammettere una sconfitta dell'idea di sviluppo sostenibile, ma piuttosto deve risultare in in uno stimolo importante a cambiare punto di vista e integrare diversi approcci per riuscire a raggiungere un risultato migliore: il cosiddetto resilient thinking, infatti, analizza quali siano le strategie migliori per gestire sistemi fatti di persone e di ambiente che interagiscono tra di loro e si basa su alcuni principi fondamentali che devono essere applicati nei modi e nei momenti più adatti per risultare davvero efficaci.
In sostanza è la rivoluzione culturale che si richiede alla viticoltura del futuro, proprio attraverso un resilient thinking. L'ultima rivoluzione agricola, infatti, basata fondamentalmente su varietà selezionate, sull'uso di concimi minerali e antiparassitari di sintesi, ha prodotto una sorta di industrializzazione della viticoltura e la biodiversità nel vigneto è stata vista come un fattore limitante da eliminare.
La viticoltura e la natura hanno rappresentato per lungo tempo due spazi ben delimitati, quasi inconciliabili, gestiti con regole profondamente diverse tra loro: lo spazio viticolo, destinato alla produzione, e quello naturale, da preservare.
Al contrario, la biodiversità in viticoltura svolge un ruolo essenziale per la valorizzazione dei diversi ambienti di coltivazione e per le diverse esigenze dei modelli di consumo, nonostante l'intensificazione dei processi produttivi; si manifesta però soprattutto nelle scelte varietali, mentre è sostanzialmente trascurato l'aspetto relativo all'ecosistema dove la vite è coltivata, il suolo del vigneto e il suo intorno naturale (Colugnati et al, 2013). Appare quindi necessario superare la visione vitigno-centrica del vigneto per proteggere e valorizzare la biodiversità dell'insieme dell'ecosistema viticolo, integrando e facendo convergere le discipline e le conoscenze agronomiche con quelle ecologiche, per sviluppare un nuovo concetto di agro-biodiversità che inglobi le popolazioni dei vitigni coltivati con tutte le specie viventi nel vigneto, siano esse animali o vegetali o microbiche, aggressive o utili, telluriche o aree.
In quest'ottica nel tempo si sono sviluppate fondamentalmente due viticolture. Accanto a una viticoltura convenzionale, che massimizza il rendimento dei fattori produttivi impiegati, anche attraverso un elevato impiego della meccanizzazione, a partire dagli anni Settanta si è sviluppata, quasi in contrapposizione, la viticoltura biologica, che rifiuta l'impiego dei prodotti di sintesi e si affida soprattutto al mantenimento della fertilità fisico-chimica dei suoli per garantire la sopravvivenza della coltura della vite nel tempo.
I quattro tratti della resilienzaSi riconoscono quattro caratteristiche della resilienza, definite Latitudine, resistenza, precarietà e panarchia (Holling et al., 1978). La Latitudine è l'ammontare massimo in cui un sistema può cambiare senza perdere la propria abilità al recupero, prima quindi di oltrepassare una soglia oltre la quale può essere difficile o impossibile il recupero stesso. La resistenza costituisce invece la facilità o la difficoltà di cambiare il sistema, o meglio, quanto e come il sistema é complessivamente resistente rispetto al cambiamento. La precarietà indica quanto sia vicino l'attuale stato di un sistema a un limite oppure a una soglia. La panarchia (Gunderson e Holling, 2002) è un termine utilizzato per ricordare che, a causa delle interazioni a diverse scale, la resilienza di un sistema a una particolare scala dipenderà dalle influenze degli stati e delle dinamiche alle scale che hanno Luogo al di sopra o al di sotto del sistema stesso. |
La centralità del terreno
Il panorama degli scenari intermedì è ovviamente molto ampio ma, al netto delle posizioni ideologiche (biologico e bio dinamico), la principale discriminante tra le due viticolture consiste nelle modalità di gestione del suolo e soprattutto nelle implicazioni che questa pratica ha in tutte le altre tecniche colturali applicate nel vigneto. Comunque la si pensi, però la tendenza in atto è verso un loro progressivo riavvicinamento: la prima è costretta a rivedere i propri processi produttivi per diventare più durevole, la seconda dovrà investire maggiormente sul suo patrimonio biologico come fattore di adattamento futuro (Colugnati e Cattarossi, 2016).
Applicazioni pratiche di viticolture resilienti
Nella prospettiva di un'agricoltura sostenibile, in cui situazionidi semi-naturalità (siepi, strisce di prato di varia natura, sponde naturaliformi di fossi e canali, piccole zone umide, aree boschive ristrette etc.) vengono recuperate a costituire, negli ambiti coltivati, un diffuso reticolo di ambienti a elevato livello di complessità, anche i vigneti collinari, oppure in aree residuali, possono rappresentare un elemento importante per il mantenimento della biodiversità agro-ecosistemica e il miglioramento complessivo del territorio nel suo insieme, come veri e propri tunnel ecologici (Caporali, 2010).
Il bosco
Sappiamo ad esempio dall'ecologia che il bosco rappresenta una comunità matura, caratterizzata da un'elevata variabilità di specie, dove il bilancio tra la produzione di materia e il suo consumo appare sostanzialmente in equilibrio (Gily et al., 2008). Questa condizione rende il bosco capace di interagire con l'ambiente fisico quale vero e proprio sistema tampone in modo molto più efficiente rispetto a una singola coltura agraria come il vigneto, una comunità biologica giovane e produttiva ma anche ecologicamente più semplice. Esso può essere inteso come una barriera di isolamento nei confronti di fonti di inquinamento esogene sospinte dalle masse d'aria, aspetto certamente non trascurabile nelle situazioni nelle quali sia necessario separare fisicamente i vigneti condotti secondo il metodo biologico da quelli convenzionali, oppure più in generale separarli dalle cosiddette zone sensibili, come descritto dal Piano di Azione Nazionale.
Inoltre le aree boscate hanno la massima capacità di regimare nel modo migliore le acque di origine meteorica, immagazzinandole nel suolo, e nel contempo di rallentarne la velocità, contenendo in modo sostanziale il fenomeno erosivo, vera e propria patologia ambientale di questi territori (Lisa et al., 1997).
Per queste ragioni, anziché disboscare indiscriminatamente le superfici soggette a nuovi insediamenti viticoli sarebbe opportuno lasciare alcune fasce soprattutto sui crinali, generalmente caratterizzati da suoli più sottili che sì approfondiscono man mano che si scende verso valle: le diverse situazioni pedologiche e vegetazionali possono venir razionalmente utilizzate per colture vitate a diversa destinazione amministrativa, come dimostrano alcuni ottimi esempi d'Oltralpe.
Misurare gli effetti della BiodiversitàPer poter valutare gli effetti della cosiddetta intensificazione ecologica dei vigneti sono necessari approcci scientifico-metabolici interdisciplinari, dove si analizzino in profondità i cicli dei nutrienti, le relazioni tra individui che appartengono a più specie vegetali o animali e le risposte comportamentali degli organismi in un determinato ambiente: in ultima analisi appare indispensabile un chiarimento approfondito circa l'impatto che hanno forme di viticoltura alternativa sulla biodiversità e sulla qualità della produzione, quando troppo spesso si leggono affermazioni sulla loro bontà, senza peraltro il suffragio di risultati sperimentali. |
L'esempio della Borgogna
In Borgogna i Grand Gru occupano normalmente una seconda fascia vitata a partire dal crinale, dove i suoli hanno una profondità media; più a monte, sui crinali, i terreni sono più superficiali e nella seconda parte del pomeriggio sono soggetti all'ombra della foresta I terreni più a valle sono considerati meno pregiati e per questo classificati secondo una scala decrescente, da Premien- Cru ad Aoc Village e Aoc Regionale.
Questi crinali e queste superfici a profilo diversificato sono in genere aree scarsamente o per nulla coltivate, troppo spesso abbandonate, per motivi logistici oppure economici, ma che possono diventare da un lato elemento importante di diversificazione biologica e ambientale e protezione dell'ecosistemza suolo.
Escluse dalla coltura principale, queste aree, al contrario, trovano in una copertura, a prato-pascolo naturale oppure a bosco regimentato un mezzo che può coniugare nel migliore dei modi protezione del suolo, livello accettabile di biodiversità (con conservazione di specie vegetali e animali tipiche delle cenosi erbacee), miglioramento delle caratteristiche chimiche e microbiologiche del suolo, miglioramento della qualità ambientale del territorio e costi di gestione contenuti, determinati dal basso livello di manutenzione richiesto.
L'esempio della Svizzera
In Svizzera, l'Ordinanza dei Pagamenti Diretti (OPD23, ottobre 2013) regola il versamento di contributi per la biodiversità che si articolano in tre livelli qualitativi (Art. 56), I vigneti accedono a tali benefici per la qualità relativa a due di essi: il livello qualitativo I, che concerne condizioni e oneri generici relativi a misure di gestione; il livello qualitativo II, che riguarda la valutazione del vigneto per mezzo di un valore ecologico calcolato sulla base di piante indicatrici. Proprio la selezione delle piante indicatrici è il punto chiave per una corretta valutazione della qualità delle superfici di promozione della biodiversità e per questo motivo è stata recentemente proposta una lista selezionata, attraverso un approccio che integra aspetti differenti, sia gestionali relativamente ai vigneti, sia ecologici più strettamente collegati ai differenti ecosistemi presenti (Trivellone et al., 2017).
Con questo approccio è stato possibile integrare nel sistema di valutazione della qualità dei vigneti, regolato dalle Istruzioni Applicative della OPD, sette specie botaniche importanti per il terroir del Ticino, alcune delle quali a rischio erosione genetica, Tale cambiamento rappresenta un passo in avanti verso una definizione affidabile delle specie indicatrici della biodversità che tenga conto di diversi aspetti, compresi quelli funzionali. Ma soprattutto rappresenta un ottimo esempio di sinergia positiva (resilient thinking) tra il mondo della ricerca, quello della produzione e il sistema dei pagamenti diretti, verso un comune obiettivo di difesa e sviluppo della diversità biotica e abioitica degli ecosistemi.
Il ruolo delle istituzioniNaturalmente per un completo adeguamento alla filosofia del resilient thinking anche la forza incentivante prodotta dagli organismi pubblici svolge un ruolo determinante, soprattutto a livello di difesa e sviluppo del tasso di biodiversità di un ecosistema agricolo, anche attraverso la leva dei meccanismi di controllo a monte e di liquidazione a valle. In agricoltura. Lo strumento dei Pagamenti per i Servizi Ecosistemici (Pes, fondi europei Life in co-finanziamento con Ministeri nazionali) viene utilizzato per prevenire il rischio della perdita di biodiversità e dei servizi a essa associati e promuovere le esternalità positive (Ferraro e Kiss, 2002); un esempio di tali strumenti è rappresentato dai sussidi che gli agricoltori ricevono affinché attraverso prestazioni di tipo ecologico e buone pratiche agricole promuovano, il mantenimento indefinito delle funzioni ecologiche della biodiversità e del capitale naturale. |