Fonte: periodico "Uva da tavola"
Articolo a cura di Giovanni Manca - Agronomo, delegato Sud Italia AGQ Labs
Anche se raramente se ne parla, la sostanza secca contenuta nell'acino riveste un ruolo importante nella costituzione della qualità del frutto. L'approfondimento di Gianni Manca, AGQ Labs Italia, affronta in dettaglio questo tema.
La nutrizione nella moderna frutticoltura ha assunto negli ultimi anni un'importanza rilevante sia per la qualità che per la conservazione post-raccolta del frutto. Il produttore può aver fatto un ottimo lavoro in campo, ottenendo un prodotto edibile con delle buone caratteristiche ad un'analisi visiva, giusto grado brix e colore, ma se il frutto non sarà in grado di conservare questi parametri durante tutto il percorso che lo condurrà alle tavole dei consumatori, il lavoro di tutta una campagna verrà vanificato e il valore della merce sarà valutato in maniera negativa rispetto alle aspettative iniziali.
Oggi ci si può avvalere di tecnologie all'avanguardia che garantiscono la certezza nella selezione e nella classificazione dei frutti attuata in base a parametri specifici e sempre più complessi (maturazione, acidità, sostanza secca, grado Brix, calcio pectato, difetti interni ed esterni, oltre ai classici parametri come colore e calibro). Questo grado di sofisticazione consente alle centrali ortofrutticole di offrire frutta con una qualità fortemente diversificata e in linea con le richieste del mercato ed il profilo gustativo del consumatore finale.
Le tecnologie restano però solo dei validissimi strumenti di verifica che possono classificare un prodotto già finito, e che quindi possono incidere anche negativamente sulle valutazioni di mercato di quest'ultimo.
Per questo la nutrizione vegetale controllata e gestita secondo le conoscenze fisiologiche e analitiche di una coltura rimane l'unica vera tecnologia capace di raggiungere l'obiettivo di costruire un frutto di qualità e duraturo nel mercato dell'ortofrutta.
Già da qualche anno i grandi consorzi della filiera frutticola internazionale hanno cominciato ad utilizzare come valori riconosciuti a livello globale indici di qualità quali ad esempio il contenuto in calcio pectato e la percentuale di sostanza secca del frutto.
Come già trattato nel n.2/2018 di Uva da Tavola Magazine, il calcio è un elemento strutturale della parete cellulare e, come pectato, la sua presenza nelle cellule del frutto è direttamente correlata con una migliore distensione e divisione cellulare dove collabora insieme al boro ed al fosfato al miglioramento della compattezza e all'elasticità dei tessuti.
Questo si relaziona direttamente con la capacità della frutta di mantenere le sue condizioni e la sua compattezza di fronte alle manipolazioni, ai trattamenti del freddo, alla resistenza ai patogeni e in definitiva a raggiungere un maggiore durata di post-raccolta nel viaggio che affronterà sino alla sua destinazione.
La sostanza secca (o il residuo secco) invece viene definita come la parte residuale di un campione (in questo caso di un frutto) dopo l'allontanamento totale dell'acqua. Essa è una frazione composta da sostanze insolubili come zuccheri ed acidi e solubili come carboidrati. La caratteristica di questo parametro è che non varia nel periodo di post-raccolta e può essere utilizzato come indice non distruttivo della qualità e della maturazione, essendo strettamente correlata con quest'ultima.
Infatti, essendo questa composta in prevalenza da zuccheri, può essere utilizzata per definire la redditività di una produzione. Studi recenti hanno dimostrato inoltre che la densità dei frutti è strettamente correlata con la sostanza secca e con la concentrazione degli zuccheri e dell'amido (Jordan et al., 2000).
Tanto più alto sarà il valore di sostanza secca riscontrato in percentuale nel frutto, tanto minore sarà il contenuto di acqua in esso contenuto e proporzionalmente migliore la sua qualità, la resistenza alle manipolazioni e la sua conservabilità in post-raccolta.
L'alto tenore di sostanza secca oltre ad essere un indice di buone proprietà organolettiche del prodotto, è un valore che certifica le buone capacità del frutto di resistenza anche ai patogeni in fase di stoccaggio, motivo per il quale risulta un indice affidabile per la valutazione della sua conservabilità e trasportabilità.
Ma quali sono i processi che ci permettono in campo di aumentare il valore di questo parametro e quali tecniche possono essere messe in atto per assicurarci un frutto con pezzature ottimali ma con giusti valori di sostanza secca?
L'accumulo di sostanza secca nei frutti è il risultato di complesse reazioni biochimiche e fisiologiche che, seppur de-terminate dalla genetica, possono essere influenzate da fattori quali lo stato di salute delle piante, le caratteristiche ambientali e, primo in ordine di importanza, una nutrizione vegetale mirata e controllata. Il contenuto in sostanza secca del frutto dipende sia dall'effetto definito "sink" (pozzo) e "source" (sorgente) ossia dalla capacità del frutto (sink) di richiamare i prodotti della fotosintesi dalle foglie (source) attraverso il sistema di vasi floematici, sia dall'efficienza dell'apparato radicale che ha il compito di trasportare alle foglie gli elementi nutritivi indispensabili nei processi di formazione di fotosintetati e di zuccheri.
Oltre ad avere una buona e funzionante struttura di trasporto è necessario che la qualità e la concentrazione degli elementi nutritivi rispetti le fasi fenologiche e la fisiologia della pianta. È importante conoscere tutte le fasi della costituzione di un frutto e gli effetti sinergici e antagonistici dei vari elementi nutritivi per essere sicuri di fornire alla pianta il giusto materiale per creare un frutto di qualità. In sintesi la produttività di una pianta può essere definita come la capacità di trasformare l'energia luminosa in sostanza secca disponendo del miglior "materiale" nutritivo possibile.
Uno dei comparti dove l'analisi della sostanza secca svolge un ruolo fondamentale nelle tappe di commercializzazione è quello del kiwi, dove l'incidenza di questo parametro è determinante sulla qualità del frutto e sulla sua possibilità di conservazione.
La sostanza secca è determinante sulla degradabilità della durezza nella fase di condizionamento del prodotto e nei trasporti dello stesso verso i mercati di destinazione.
La preoccupazione erronea sulla scarsa "tenuta" del frutto a prescindere, condiziona l'operatore a spedire anche per tragitti brevi un prodotto eccessivamente duro che, se inviato ad un cliente non attrezzato che non conosce il kiwi, lo induce a porlo sul banco di vendita duro, acerbo e inaccettabile. La non adeguata conoscenza degli operatori, quindi, porta questi ultimi a non "correre rischi" e a cedere un prodotto non idoneo alla commercializzazione.
Molto si è discusso sull'uso di fitoregolatori naturali e di sintesi nelle varie colture, il cui utilizzo ha come impatto soprattutto sul kiwi la formazione di un frutto che presenta a maturazione un indice di durezza inferiore ai frutti non trattati. Si è però visto che nonostante l'aumento del peso del frutto di circa il 44% con l'utilizzo di ormoni, l'incremento del contenuto di acqua è superiore del solo 2% rispetto al testimone non trattato, motivo per il quale il peso totale è il risultato di un aumento per lo più in sostanza secca (Patterson, Mason, Gould, New Zealand Journal of Crop and Horticultural Science, Vol. 21, 1993).
Si può quindi affermare che l'utilizzo di fitoregolatori incide positivamente sul contenuto in sostanza secca e migliora la qualità e la conservabilità del frutto.
Valori di riferimento
Come precedentemente detto, il comparto del kiwi affida al contenuto di sostanza secca un ruolo importante nella classificazione del frutto. L'Agecontrol (agenzia pubblica per i controlli in agricoltura) in particole nel Decreto Reg. (UE) 543/2011 del 7/06/11 Allegato I parte B/3, oltre a classificare la qualità dei frutti in base a peso e calibro, definisce i valori di sostanza secca richiesti alla raccolta ed in particolare enuncia che è necessario un tenore di sostanza secca pari al 15% nella fase di condizionamento dei frutti in modo da permettere loro di raggiungere un valore intorno al 20% al momento di entrare nella catena distributiva.
Per l'uva da tavola invece non sono indicati i valori di riferimento della quantità di sostanza secca nel frutto, perché come indice di raccolta viene considerato il grado brix nell'analisi rifrattometrica del succo degli acini. Non per questo non risulta importante la conoscenza del grado di sostanza secca nella valutazione qualitativa, in particolare per le capacità di frigoconservazione del prodotto finale.
Come già detto nel processo analitico la quantità di sostanza secca è un parametro facente parte di un'analisi completa delle caratteristiche di un frutto che considera anche la quantità di amido e di elementi di cui è composto. Per il kiwi il range di riferimento alla raccolta va da un valore minimo di 16% sino al 19%. Il resto dell'analisi considera tutte le restanti caratteristiche chimiche del campione (vedi pagina seguente).
Nell'uva da tavola per determinare le caratteristiche qualitative strutturali della bacca viene effettuata l'analisi della sostanza associata a quella del calcio totale e quindi del calcio pectato della parete cellulare.
Un'uva da tavola di buona qualità dovrebbe presentare contemporaneamente valori di calcio pectato superiori a 12 mg/100g e di sostanza secca superiori al 18%. In particolare nell'analisi sotto riportata è stato analizzato un campione di uva Italia concimata con le normali tecniche tradizionali dell'areale del Sud-Est Barese.
L'elevata presenza di calcio totale, che suggerisce un elevato apporto di concimi calcici, paragonata ai bassi livelli di calcio pectato e di sostanza secca, dimostrano come l'apporto errato di nutrienti che non rispetti le esigenze fenologiche della pianta possono incidere negativamente sulla qualità del prodotto finale.