Fonte: Rivista VVQ Vigne, Vini & Qualità
articolo a cura di Clementina Palese
Crescono le conoscenze in materia di Grapevine Trunk Disease e appare sempre più chiara la necessità di intervenire su più fronti, nella prevenzione e nella limitazione dei danni, con prodotti e tecniche di comprovata efficacia.
"Nelle malattie del legno la complessità delle interazioni tra pianta, patogeni e ambiente è impressionante. Molta ricerca è ancora da fare sul ruolo dei vari fattori, ma è molto importante cambiare da oggi l'approccio alla gestione del vigneto e comprendere quanto sia importante integrare tutti gli strumenti disponibili per contenere i sintomi nel lavoro di tutti i giorni, soprattutto nei nuovi vigneti. Il grande aumento di queste malattie nel mondo è, infatti, sicuramente collegato al diverso modo di coltivare la vite". Da queste considerazioni di Laura Mugnai, professoressa del Dispaa dell'Università di Firenze e tra i massimi esperti a livello mondiale di malattie del legno, si comprende come non sia più rimandabile un cambio di paradigma nella gestione del vigneto. Deperimenti e morie dovuti a funghi patogeni che colonizzano il legno non riguardano solo la vite, ma molte altre specie, forestali e frutticole, come ad esempio olivo, mandorlo, melo, per citarne solo alcune. Nella recrudescenza delle malattie del legno (GTDs, Grapevine Trunk Diseases), partita negli anni Novanta anche a carico dei giovani vigneti, hanno un molo importante il cambiamento climatico - che stressa le piante e gioca a favore dei patogeni, che si giovano di temperature invernali più miti - e le pratiche di coltivazione.
Conoscere il nemico
"Escludendo i patogeni che provocano la degradazione del legno (carie) - spiega Laura Mugnai - gli altri producono non solo enzimi, ma anche tossine che entrano in circolo. Questo spiega l'evoluzione della malattia con l'età della pianta: alcune specie di patogeni numericamente limitate sono presenti nelle viti giovani e poi il loro numero aumenta con l'ingresso di altri funghi dalle ferite. Tuttavia i sintomi collegati ai singoli patogeni sono specifici e inconfondibili, anche se a volte hanno caratteristiche in comune con le carenze di magnesio e di potassio, pur restando sempre ben distinguibili.
Importante è ricordare che sono capaci di vivere in modo asintomatico nel legno, colonizzando parti che non sono direttamente implicate nella vita della pianta (nella vite solo poche cerchie esterne sono funzionanti). La loro presenza dunque non vuol dire malattia immediata: per la manifestazione c'è bisogno di cofattori, che portano ad alterazioni della fisiologia della pianta. Bisogna agire prevenendo le infezioni e, allo stesso tempo, aiutando la vite a rispondere limitando il diffondersi delle infezioni nei tessuti. In sostanza le piante ammalate non si possono curare, ma si possono aiutare con una serie di azioni".
Le iterazioni in gioco sono molto complesse: sono diversi i patogeni, le tossine e le reazioni della vite anche in base al suo corredo genetico e a questi va aggiunto l'ambiente (precipitazioni, temperature, suolo), che condiziona le risposte della pianta e provocala fluttuazione dei sintomi da un anno all'altro.
È nota per esempio, già dagli anni Novanta, la correlazione positiva tra i sintomi e la piovosità elevata nella prima parte della stagione, ben rappresentata da un solo dato rilevato in Toscana su viti con lo stesso livello di infezione: in un'annata con precipitazioni importanti alla ripresa vegetativa le piante sintomatiche sono passate dal 4 al 23%.
"Sul ruolo degli aspetti fisiologici nella manifestazione dei sintomi - racconta Mugnai - si basano gli ultimi studi sul monitoraggio della malattia. Rilevando il vigore vegetativo espresso dall'indice Ndvi (indice di vigore vegetativo) attraverso voli di droni siamo riusciti, in vigneti in cui conoscevamo la storia di ogni singola pianta, a individuare, per il loro minore Ndvi, quali viti asintomatiche avrebbero manifestato i sintomi nel mese successivo, ma anche quali viti, pur apparendo completamente asintomatiche nell'anno di osservazione, avevano presentato sintomi nella stagione precedente".
Integrare le azioni per limitare il danno
La prevenzione è fondamentale in vivaio e in vigneto, ovviamente non per eliminare le infezioni già instauratesi, ma per prevenire e contrastare l'incremento dei patogeni nella vite e su altri ospiti.
"Prevenzione, integrazione di approcci diversi e crescita bilanciata - sottolinea Mugnai - sono fondamentali. Già all'impianto ci si gioca il futuro: è necessario essere consapevoli dei fattori di rischio che rendono le viti più suscettibili alle malattie del legno, dalla diversa sensibilità di varietà e portinnesti, alla giacitura e alle caratteristiche del terreno, che deve essere ben drenato perché i ristagni predispongono alla manifestazione dei sintomi.
Importanti sono il momento dell'impianto e la qualità delle barbatelle, non soltanto per il contenuto di funghi, che deve essere ridotto il più possibile ma che non può essere completamente eliminato, ma anche per le caratteristiche qualitative che implicano la reattività del materiale alle infezioni. Si può aiutare la radicazione con la micorrizazione e fare trattamenti con Trichoderma per indurre la pianta a reagire. Quando il vigneto è avviato bisogna perseguire una crescita bilanciata delle viti, non spingendo il vigore. Piante equilibrate rispondono meglio anche agli stress idrici, inclusi gli eccessi".
Per quanto riguarda gli aspetti colturali, cruda-li sono la gestione del terreno e il suo tenore in sostanza organica; l'uso di cover crop per bilanciare la disponibilità idrica è un altro elemento che può avere un impatto positivo.
Il ruolo della potatura
Importantissimo, è risaputo, il ruolo della potatura secca per tipo e modalità di taglio e per la forma di allevamento.
Prove su Sangiovese per 10 anni hanno evidenziato che nel Guyot viene spesso registrata una più elevata mortalità, probabilmente per la concentrazione di ferite e quindi di tessuti necrotici in una sola zona, mentre nel cordone speronato la manifestazione dei sintomi è maggiore, a significare che in questo caso il cordone permanente permette di mantenere una parte vitale del legno più a lungo.
Le regole di potatura sono in sintesi: evitare tagli grandi, che offrono maggior superficie esposta alle infezioni e sono più difficili da chiudere, anche se la vite non cicatrizza ma alloca sostanze di difesa nei tessuti che muoiono; tagliare legno al massimo di due anni e mai a taglio raso, rispettando le gemme di corona e il flusso della linfa (metodo Guyot-Poussard).
Importante anche potare quando il tempo è stabile e ventilato, lontano dalle piogge, che sono notoriamente collegate ai momenti di massima liberazione nell'ambiente delle spore e quindi di rischio di infezione. Inoltre, per ridurre l'inoculo, è tassativo allontanare sarmenti dal vigneto. Bisogna, comunque, porre attenzione anche alla potatura verde, evitando le ferite che si procurano tardando a togliere i polloni.
"La protezione delle ferite - sottolinea Laura Mugnai - che rimangono aperte anche per 4-5 mesi, è indispensabile da subito. Oggi è disponibile allo scopo un agente di biocontrollo a base di Trichoderma, applicabile con l'atomizzatore, che dà ottimi risultati come abbiamo osservato nel corso di prove di 6 anni in numerosi vigneti del centro e nord Italia, determinando una certa riduzione dei sintomi e della mortalità nelle viti ormai attaccate.
Nei vigneti in cui la protezione delle ferite viene attuata fin dal primo anno l'incidenza media percentuale annuale si mantiene prossima allo zero, contrariamente a quanto accade nel testimone non trattato, sottolineando in modo evidente l'importanza di attuare la prevenzione fin dai primissimi anni dopo l'impianto, senza aspettare la comparsa dei sintomi".
LE GTDs IN SINTESILe GTDs sono causate da patogeni specifici e presentano tre tipologie di danno diverse. La carie, che provoca la degradazione del legno, i cancri, che portano alla necrosi il tessuto corticale e successivamente il legno, e le malattie vascolari, i cui sintomi sono provocati da elementi di aggressione diversi, ma comunque da enzimi che danneggiano il tessuto legnoso. Gli agenti sono a) per la carie, funghi basidiomiceti (Fomitiporia mediterranea, Fomitiporia spp., altre specie); b) per le malattie vascolari: funghi ascomiceti (Phaeoacremonium spp., Phaeomoniella chlamydospora); per i cancri: funghi ascomiceti (Eutypa spp., Botryosphaeriaceae, Diaporthe ("Phomopsis"). |
DENDROCHIRURGIA CONTRO IL MAL DELL'ESCA?Oltre il 95% dei ceppi su cui è stata applicata la dendrochirurgia allo scopo di eliminare il legno malato è stato risanato, tornando in produzione piena nell'arco di tre anni. Questi i risultati molto interessanti ottenuti da Simonit&Sich-Preparatori d'Uva in vigneti di sei regioni viticole francesi e italiane, per un totale di 10.000 piante trattate di 5 varietà (Sauvignon blanc, Chardonnay, Cabernet sauvignon, Cabernet franc e Pinot nero) a partire dal 2011.
"Partiti dalla bibliografia - spiega Marco Simonit - in cui Ravaz e Lafon descrivono la dendrochirurgia come pratica antica, da Poussard che alla fine dell'800 la praticava, e incoraggiati da Denis Dubourdieu, già direttore dell'Institut des Sciences de la vigne et du vin dell'Università di Bordeaux, recentemente scomparso, l'abbiamo messa in pratica con strumenti moderni. Con piccole motoseghe apriamo il tronco e asportiamo la parte intaccata dalla carie.
La pianta, disintossicata dalla malattia, nel giro di poco tempo riacquista vigore, riprende a fruttificare e torna pienamente produttiva". I risultati sono migliorati con l'affinarsi della tecnica: nel 2014 in media la sostituzione piante a causa mal dell'esca era già scesa al 4% (dal 10% di partenza) e nel 2016 ha raggiunto addirittura lo 0,04% (le viti che non sopravvivono all'intervento). |
Ora sono allo studio il miglior periodo dell'anno per intervenire, la frequenza di interventi e la durata del risanamento.
Per considerare la convenienza della dendrochirurgia i termini di paragone sono i costi di espianto e reimpianto di una vite, stimato intorno ai 40 euro, a cui bisogna aggiungere la mancata produzione della giovane vite per minimo 3 anni, il declino della produzione, quantitativo e qualitativo (la perdita di qualità sensoriale nel vino è percepibile già a partire dal 5% di uva infetta), e gli inconvenienti di un vigneto disetaneo per la gestione e la qualità delle uve e del vino.
In base all'esperienza maturata finora dai Preparatori d'Uva, in una giornata lavorativa un potatore può curare una quarantina di piante, quindi il gioco potrebbe valere la candela, a patto di disporre di personale formato.
E proprio sulla formazione sta lavorando il gruppo.
"Puntiamo alla longevità del vigneto - spiega Simonit - con la prevenzione delle malattie del legno, potando in modo rispettoso le piante, e con la cura.
In entrambi i casi il nostro sforzo con la Scuola di potatura e ora di dendrochirurgia è quello di selezionare e formare personale preparato". |
Il recupero di pratiche antiche
"Alcuni operatori - evidenzia Laura Mugnai - come ad esempio in Francia Francoise Dal del Sicavac e in Italia Simonit&Sirch, ripropongono pratiche antiche come l'eliminazione del tessuto cariato dal tronco di piante malate (una sorta di slupatura o dendrochirurgia). Pratiche tramandate quando ancora non era stata chiarita la adesso nota fiuttuazione dei sintomi negli anni e che richiedono innanzitutto una valutazione attenta della reale efficacia. Esse comunque trovano molti limiti nell'applicabilità dell'intervento, anche se fosse dimostrato efficace: costi, tempistiche, forme di allevamento, età del vigneto, durata dell'ipotetica ripresa di vitalità, ecc. Certamente un aspetto su cui vale la pena di iniziare indagini adeguate".
Nuovi orizzonti
I trattamenti con phosethyl-Al su legno e foglie, che stimolano la reazione di difesa della pianta, permettono di recuperare pienamente la produzione, ma sono all'orizzonte nuove sostanze attive, come un prodotto brevettato da poco dall'Università di Teramo, formulato a base di caldo, magnesio ed estratti vegetali.
"Le prove con questo prodotto sperimentale, iniziate nel 2010 in Abruzzo su Trebbiano, con trattamenti fogliari (6-9 dai germogli lunghi 5-10 cm a prechiusura grappolo a fine luglio) - racconta Mugnai - hanno dal primo anno determinato differenze statisticamente significative nel trattato rispetto al testimone, migliorate negli anni successivi. Provato in altre regioni, il prodotto ha confermato i risultati sulla riduzione dei sintomi fogliari. Il limite è la necessità di trattare ogni anno, come del resto va applicata ogni anno la protezione delle ferite. Considerando che i funghi sono sempre presenti nella pianta, probabilmente il contenimento dei sintomi dipende dalla reazione diversa della foglia alle sostanze tossiche che la pianta trasporta. In seguito ai trattamenti nelle foglie aumentano il contenuto di resveratrolo e l'accumulo di ossalato di caldo: il risultato è che la produzione e la sua qualità aumentano. Sono, inoltre, in corso test con un nuovo formulato a base di estratti vegetali, rame e alti componenti che pure sta dando risultati interessanti".