Fonte: Periodico "Vigne Vini e qualità"
Articolo a cura di Costanza Fregoni
Ridurre il fenomeno dei mutamenti climatici a una mera questione di incremento delle temperature medie e a un problema di anomalie pluviometriche è riduttivo.
Almeno tanto quanto lo è puntare al semplice spostamento dei vigneti a quote maggiori come unica soluzione agli squilibri compositivi dei mosti di annate calde. O come attendersi necessariamente una gestione della difesa del vigneto più complicata negli anni a venire. Il convegno organizzato da Uiv nell'ambito di Fieragricola 2018 e moderato da Massimo Bertamini (Università di Trento e Fondazione Mach) - I cambiamenti climatici e la difesa del vigneto, questo il titolo - lo ha dimostrato.
Nulla da prendere sotto gamba
Il fisico Dino Zardi (Università di Trento) ha descritto la relazione esistente tra i cambiamenti che intervengono anche in una sola variabile climatica e gli squilibri più ampi che ne conseguono, non sempre di facile lettura.
"Per l'atmosfera, 1° C di temperatura in più significa un incremento del 7% la sua capacità di trattenere umidità, il che comporta che l'evaporazione di acqua dalla superficie terrestre cresce in modo più che proporzionale all'aumentare della temperatura dell'atmosfera stessa".
E il futuro cosa ci riserva? Le proiezioni fornite dal Panel Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (Ipcc) indicano che nel 2100, in assenza di inversioni di tendenza, gli incrementi di temperatura creeranno situazioni decisamente insostenibili a livello agricolo, mentre decidendo di dimezzare le emissioni ogni 5 anni possiamo sperare di mantenere il riscaldamento globale ai livelli attuali.
Sarà deserto? No, ma...
Arriveremo a poter coltivare soltanto cactus, per effetto della desertificazione associata ai mutamenti climatici? Probabilmente no, afferma Ilaria Pertot (Fondazione Edmund Mach e Università di Trento), ma occorre prepararsi a gestire condizioni colturali diverse e mutevoli, mettendo a frutto le nostre capacità previsionali basate su modelli matematici robusti. I riflessi dei mutamenti climatici sulla fitopatologia e la difesa devono essere valutati interpretando e adattando i dati globali su scala regionale e locale, fatto non sempre semplice e inevitabilmente caratterizzato da elevata incertezza.
"Siamo portati a pensare che i cambiamenti climatici favoriscano l'insediamento di nuovi patogeni e parassiti nei nostri ambienti, ma occorre ridimensionare questa convinzione e ricordare che a introdurre specie aliene è soprattutto l'uomo, coi suoi scambi commerciali", ha sottolineato la ricercatrice. "Anche la sincronia tra patogeni e pianta - ha aggiunto - è stata troppo a lungo sottovalutata". Un esempio pratico? Alle nostre latitudini, la tignoletta di solito compie tre generazioni l'anno, quattro solo dove fa molto caldo. In futuro dovremo dunque gestire una generazione in più, per effetto del riscaldamento globale? Probabilmente no, poiché normalmente la quarta generazione si compie quando abbiamo già raccolto. E in considerazione della necessità crescente di vendemmie anticipate, il rischio quarta generazione appare remoto. Potrebbe invece necessitare di maggior attenzione il problema della presenza di ocratossina A nei vini, normalmente associata a prodotti di regioni mediterranee (in virtù delle preferenze climatiche di Aspergillus niger), ma che potremmo aspettarci di trovare con maggior frequenza in vini del nord.
NIENTE PELI SULLA LINGUASchietto e diretto, Mattia Vezzola ha espresso opinioni forti su più di un tema viticolo-enologico: dall'inerbimento del vigneto ("Non favorisce lo sviluppo in profondità dell'apparato radicale e va contro la verticalità del vino; non possiamo adottarlo solo perché ci permette di entrare in vigneto col trattore dopo una pioggia") all'uso di lieviti indigeni ("Ogni anno dal 2003 sperimento su una quota delle nostre uve le fermentazioni spontanee e solo in quattro vendemmie ho ottenuto risultati positivi"). |
L'unione fa la forza
"In un sistema complesso come l'attuale viticoltura, dove le scelte tecniche sono in continua evoluzione, a fare la differenza nell'affrontare i mutamenti in corso è la capacità di adattamento: in sintesi, flessibilità e conoscenza", ha concluso Pertot.
Ma anche la capacità di unire le forze e collaborare, potremmo aggiungere.
Ha insistito su questo la relazione di Andrea Lucchi, che ha illustrato i positivi risultati della collaborazione tra l'Università di Pisa e un gruppo di grandi aziende vitivinicole toscane (capitanate da Guado al Tasso, Antinori) in un progetto per il contenimento della cocciniglia Planococcus ficus mediante lanci in vigneto di insetti antagonisti, Anagiridi e Coccinellidi.
Partito da alcune decine di ettari, il progetto arriverà a coprire nel 2018 a circa 1300 ettari di vigneto in blocco unico, grazie all'adesione di altre aziende della zona.
Un risultato doppiamente importante, per la riduzione di applicazioni di insetticidi e per il trasferimento tecnologico operato sul territorio da parte dell'Università, che ha attivamente formato e informato tutti gli operatori a vario titolo coinvolti.
Clima e qualità
L'enologo Mattia Vezzola ha spostato l'attenzione sui rapporti tra evoluzione del clima (e delle tecniche agronomiche) e il fattore che egli considera il vero generatore di valore aggiunto: la longevità del vino.
"La gestione del vigneto, in particolare della potatura verde e delle rese, ci può aiutare senz'altro a ritardare di qualche giorno la vendemmia nelle annate calde, ma senza vocazionalità territoriale e cernita delle uve, da eseguire rigorosamente in pianta, non ci può essere qualità", ha asserito Vezzola. E al centro della preoccupazione del produttore ci deve essere - sempre secondo l'enologo franciacortino - soprattutto la costanza della qualità, ancora una volta legata alla vocazionalità ma anche all'età del vigneto.
In questo senso la gestione razionale della sanità della pianta assume un ruolo fondamentale, per ridurre le fallanze e la necessità di frequenti sostituzioni, che abbassano l'età media delle vigne.
Tutte le forme di viticoltura, senza distinzione, dovrebbero secondo Vezzola tendere a una coltivazione responsabile e alla massima espressione del territorio. Anche la terminologia con cui descriviamo i vini andrebbe rivisitata e, come sostiene Jacky Rigaux (Università della Borgogna), riscoprire tutti quei descrittori che riportano alla terra di origine del prodotto, in un'analisi di tipo geosensoriale.